RICORDI E NOTIZIE
Abbi cura dei tuoi ricordi trascorsi perché non puoi viverli di nuovo
"Non esiste separazione definitiva finchè esiste il ricordo"
Il ricordo
risveglia i pensieri felici
che primi sorgono e ultimi
svaniscono.E tutto ciò che il ricordo ama di piùun tempo fu
speranza solamente;e quel che amò e perse la speranzaormai è
circonfuso nel ricordo.George
Gordon Byron(contributo dell'Ex Allievo Giuseppe Rescigno)
Il ricordo risveglia i pensieri felici
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Invito tutti gli ex-Allievi ad inviarmi via e-mail a dottbianco@gmail.com
notizie ed avvenimenti, corredate di foto,
che si ritiene di pubblicare in questo sito degli ex-Allievi
dell'Accademia Militare di Modena, specificando il relativo Corso.
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Download 142° (17°) Numero Unico 1960-1962
Numero Unico del 142° (17°)
Download 142° (17°) Numero Unico 1960-1962
Pompadura
POMPADURA nei due anni di Accademia Militare
Il 14 gennaio 1995 l'EX Allievo Bruno Loi assume il Comando dell'Accademia Militare
Nato ad Avellino il 23 agosto del 1941, il generale di Divisione
Bruno Loi ha frequentato i corsi regolari dell'accademia militare di
Modena e della scuola di applicazione di Torino uscendone con il grado
di tenente nel settembre del 1964. ... continua ...
Alessandro ... noi con Te non molliamo
Un anno non è stato sufficiente per ritrovare le capacità sottrattemi dalla bomba. Le attuali limitazioni mi accompagneranno fino alla fine dei miei giorni. Ma un limite fisico non può essere un condizionamento per chi sceglie
di sacrificarsi per un'idea o per i colori non sbiaditi della propria
bandiera, per chi preferisce alla logica di potere e allo stolto senso
dell'apparire concetti eterei ed impalpabili come lealtà, onore, spirito
di corpo, per chi esalta il proprio rendimento nelle avversità, per chi
sorride e non si dispera innanzi al destino beffardo, per chi accoglie la paura consapevole di saperla gestire, per chi ... ... continua ...
Minchia Signor Tenente
Questa vita di stracci e sorrisi e di mezze parole
Forse cent'anni o duecento è un attimo che va
Fosse di un attimo appena
Sarebbe con me
Tutti vestiti di vento ad inseguirci nel sole
Tutti aggrappati ad un filo e non sappiamo dove
... continua ...
Gianfranco Chiti nacque il 6 maggio 1921 a Gignese e a 15 era già entrato nella scuola militare a Roma. Come segno del suo grande amore per la patria e della sua grande fede fece una promessa alla Madonna chiedendo di passare gli esami, e in cambio avrebbe dedicato le sue vacanze ai poveri. Da allora la Madre del Cielo lo accompagnò per tutta la vita, e ovunque si trovasse voleva sempre un'immagine o una statuetta della Vergine Maria per dedicarle un piccolo altare e poterla pregare. Dall'ottobre 1941 al maggio 1943 combatté sui fronti croato, greco e russo. ... continua ...
Oggi 14 novembre 2018 è terminato il processo di Beatificazione
di Padre Chiti, Generale dei Granatieri.
Filmati : Storia del Generale cappuccino Chiti
Omelia Convento San Crispino di Orvieto
Beatificazione Padre Chiti

Da Associazione Lagunari
in memoria del Cap. Massimo Ficuciello,
figlio di un nostro Ex-Allievo.
10 100 1000 volte grazie a Massimo ed a Tutti gli altri ...
PRESENTE
Nassiriya - Per non dimenticare
Alle 10.40 del 12 novembre 2003, quindici anni fa, un'autocisterna forzò l'entrata della base Maestrale, presidiata dai carabinieri italiani del MSU (Unità specializzata multinazionale), nella città di Nassiriya, in Iraq: i due uomini a bordo fecero esplodere una bomba che venne stimata pesare tra i 150 e i 300 chilogrammi. L'esplosione uccise 19 cittadini italiani (12 carabinieri, 5 militari e due civili) e 9 iracheni. Almeno altre 140 persone vennero ferite. Fu il più grave attacco subito dall'esercito italiano dalla fine della Seconda guerra mondiale, e alcuni processi che riguardano ciò che avvenne in quel giorno non sono ancora terminati.
Ha ancora senso parlare di servizio di leva ?
Da Difesa online di Enrico Baviera 15/08/18
Il tema della riproposizione del servizio di leva si è recentemente imposto sul dibattito nazionale dopo le dichiarazioni del ministro dell'Interno, Matteo Salvini, tese a reintrodurlo magari in forma ridotta rispetto al passato, e quelle della ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, che si è invece espressa al riguardo in termini tutt'altro che positivi, bloccando sul nascere la proposta. ... continua ...
CSIR Corpo di spedizione italiana in Russia
EX ALLIEVO RICORDA ... 6 NOVEMBRE 1941 - SECONDA GUERRA MONDIALE - FRONTE RUSSO - CSIR CORPO DI SPEDIZIONE ITALIANO IN RUSSIA
Il Corpo di Spedizione Italiano in RUSSIA, abbreviato come CSIR, fu una Grande Unità a livello di Corpo d'Armata del Regio Esercito inviato nell'estate del 1941 come contingente a fianco delle forze tedesche impegnate nell'operazione "Barbarossa" sul fronte orientale contro l'UNIONE SOVIETICA. ... Continua ...

El Alamein 1942
EX ALLIEVO RICORDA.....
6 NOVEMBRE 1942 - SECONDA GUERRA MONDIALE - AFRICA SETTENTRIONALE - 2A BATTAGLIA DI EL ALAMEIN (23 OTTOBRE - 3 NOVEMBRE 1942).
Il 6 novembre le forze italo-tedesche di EL ALAMEIN ripiegarono su MARSA MATRUH.
Presso FUKA, anche i superstiti carri del XIII° Battaglione Carristi M dell'Ariete vennero impegnati da forze nemiche soverchianti e distrutti.
Dopo due giorni di marcia nel deserto, alle 14:35 del 6 novembre, dopo aver rintuzzato tutti gli attacchi nemici, esaurite tutte le munizioni e distrutte le armi, gli ultimi superstiti del 187° Reggimento Paracadutisti si arresero, ma non vollero mostrare bandiera bianca né alzare le mani al nemico.
Passarono inquadrati con l'onore delle armi da parte del nemico.
Sui 5.000 effettivi dell'organico iniziale della Divisione Paracadutisti "Folgore" ad EL ALAMEIN, nei ranghi, in piedi vi erano 32 Ufficiali e 272 Paracadutisti.
Il Comandante della "Folgore", Generale Frattini, dopo la resa viene accompagnato nelle retrovie Alleate di EL ALAMEIN ed un interprete gli chiede: «Lei è il Comandante della Folgore? Un Generale inglese desidera salutarla».
Si presenta il Generale Hugues, Comandante della 44ª Divisione fanteria britannica, quella che aveva attaccato senza successo le posizioni della "Folgore", «Si era sparsa la voce che il Comandante della Folgore fosse caduto», disse Hugues, «Ho saputo che non è vero, e voglio dirle che sono contento», Il Generale Frattini ringraziò, «Volevo dirle anche che nella mia lunga vita militare mai avevo incontrato soldati come quelli della Folgore», Frattini ringraziò ancora una volta poi si salutarono e si separarono. (Da FB di Meinero Max Massimo)

LUTTO (da Antonio Sorbo)
Oggi 5 novembre 2018 mi è giunta la triste notizia della morte del Gen.B.(ris). Vincenzo Sajia del 16° Corso. Viveva a Cormons e per 5 anni l'ho avuto come maestro e guida assieme a tanti altri giovani tenenti del 59° rgt. e dell' 82° rgt. Grande dolore per la tua improvvisa "partenza".


Da FB Gen. Domenico Rossi
In questi giorni ovunque manifestazioni e celebrazioni varie per il centenario della fine della prima guerra mondiale e oggi in particolare per la Festa delle Forze Armate. Tricolori esposti,discorsi , partecipazione di autorità,istituzioni , popolo.
Tutto giusto e tutto doveroso nei confronti dei soldati e dei nostri morti che nel tempo ci hanno donato l'unità nazionale prima ,la repubblica e la nostra costituzione poi e ora difendono i valori fondamentali di pace e democrazia ovunque ritenuto necessario dal Parlamento.

Carlo Calcagni: ex colonnello, contaminato da uranio impoverito
Filmati : Col Carlo Calcagni Intervista del 2013
Trailer I AM io sono il colonnello
(Da Difesa online di Giusy Federici 09/04/18)
La pellicola, diretta dal regista di Ability Channel Michelangelo Gratton, descrive la vita quotidiana del colonnello nel ruolo d'Onore dell'Esercito Carlo Calcagni, la sua passione per la bicicletta con cui ha vinto due medaglie d'oro ai campionati mondiali di paraciclismo nel 2015, nel gruppo sportivo paralimpico della Difesa e tre medaglie d'oro agli Invictus Games 2016 di Orlando, in Florida, i giochi riservati a militari e veterani. E, ovviamente, le terapie, da quando nel 1996, dopo una missione di peacekeeping nei Balcani per evacuazioni medico-sanitarie si è ammalato di contaminazione da metalli pesanti e quindi di Sensibilità chimica multipla. Da qui una serie di patologie, dalla cardiopatia al Parkinson, che tiene a bada con una miriade di farmaci e con la sua proverbiale caparbietà mentale.
È un guerriero, Calcagni, un uomo che ama i suoi figli e la vita, che va avanti a muso duro e sorriso, nonostante il dolore, le terapie giornaliere a base di centinaia di pillole, dialisi, flebo e ogni tanto ricoveri e interventi in Italia come in Inghilterra. E, soprattutto, ha l'orgoglio di essere un soldato per il quale l'uniforme è onore, è Patria, è dovere, è tutto.
Il capo di stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, ha conosciuto la sua storia grazie al film e ha voluto incontrarlo.
Alla prima di I Am, io sono il Colonnello, il 13 aprile al cinema Palma di Trevignano Romano, ci sarà anche Calcagni. L'incasso, su base volontaria perché il colonnello non prenderà un centesimo, sarà devoluto ad un'associazione onlus del posto, Lago per tutti, per la realizzazione di una spiaggia attrezzata e accessibile anche ai disabili sul lago di Bracciano. Lo stesso per gli altri luoghi dove verrà proiettato il film, Calcagni è stato chiaro: incasso volontario da devolvere in beneficienza.
Come nasce l'idea di un docufilm su Carlo Calcagni?
È un docufilm di un'ora e 20minuti. Non ci sono attori. Il regista Michelangelo Gratton documenta quella che è la mia quotidianità, il dietro le quinte che in pochissimi conoscono, i problemi seri, clinicamente dimostrati e accertati, quindi anche riconosciuti come dipendenti da causa di servizio. Viene da chiedersi, come si fa a ottenere quei risultati che io nel tempo ho conseguito, con questo tipo di problematica. Il docufilm mostra tutto questo.
Con Gratton ci siamo incontrati tre anni fa in un ritiro pre-mondiale della Nazionale di paraciclismo. Poi ha iniziato a seguirmi, a mia insaputa. Lo scorso dicembre mi ha chiamato, lui e i suoi collaboratori avevano intenzione di realizzare un docufilm sulla mia storia, ritenendo che vada assolutamente raccontata e fatta conoscere, "Perché tu, ogni giorno, mandi un messaggio straordinario a tutti quelli che ti seguono...". Io, è vero, ogni giorno ricevo messaggi bellissimi di persone che grazie a me vanno avanti. È questo l'obiettivo del docufilm, poter essere d'aiuto o da stimolo a tante altre persone .
La prima reazione qual è stata?
Per me che la mia vita la vivo quotidianamente, non potrebbe esserci nessun regista, nessuno scrittore che potrebbe inventare una storia o un film così incredibilmente vero, dove la realtà supera l'immaginazione. Quindi ho detto immediatamente sì a Gratton. Dopo pochi giorni, è sceso con la troupe da me in Salento e sono rimasti 5 giorni a casa mia, 24 ore su 24.
Condividendo ogni istante, dall'allenamento alla terapia, ai figli?
Condividendo tutto. Ovvio che non è una cosa semplice mettere a nudo la propria vita, il dietro le quinte che io, per tutti questi anni, ho volutamente nascosto, perché ho sempre voluto mostrare solo il lato positivo delle cose, di uno che anche quando fa la dialisi o gli interventi sorride.Tutto quello che faccio sembra incredibilmente semplice, ma è piuttosto una naturalezza perché ormai fa parte della mia vita, ma non è affatto semplice. Come mettere l'ago di Huber, un ago particolare che, se è vero che ho l'impianto permanente e quindi non buco la vena per fare la flebo quotidiana, comunque devo bucare la mia carne per arrivare all'interno dell'impianto, tutti i giorni e più volte al giorno in quelle frequenti occasioni in cui, proprio perché ho un impianto permanente e quindi un accesso venoso centrale che è una porta aperta a rischi di infezione, prendo la setticemia. E quando c'è la setticemia devi fare anche la terapia antibiotica in vena, con antibiotici di un certo tipo, di ultima generazione, perché si tratta comunque di infezioni gravi, che possono essere anche letali e quindi, in quelle occasioni, devi bucare l'impianto anche due o tre volte in un giorno. E questa è solo una delle tante cose quotidiane.
Terapia tra flebo, dialisi, medicinali vari...e pillole?
Ogni giorno sono circa trecento le pillole da prendere e ti assicuro che è più pesante, per me, sia dal punto di vista psicologico che fisico, buttarle giù tutte nell'arco della giornata piuttosto che fare la mia dialisi e le mie quattro/cinque ore di flebo. Ormai c'è un rigetto del corpo che, quando deglutisco, proprio non le vuole. Lo stesso rigetto della pelle appena sente l'ago. Lì c'è un momento di mia concentrazione mentale per sopportare anche quel dolore. Come sopporto dolori incredibili 24 ore su 24, perché i normali antidolorifici non mi fanno alcun effetto. Mi hanno prescritto la terapia del dolore, con tre farmaci a base di stupefacenti e che, proprio per lo sport, non ho mai iniziato. Erano farmaci che avrebbero annullato quella grande forza mentale che tutti i medici mi riconoscono e mettono per iscritto nelle loro relazioni, forza che mi permette di fare l'allenamento anche con 40 di febbre o quando i dolori sono talmente forti e la stanchezza tanto pesante (tra le varie sindromi anche quella da fatica cronica...). Anche questo è in contrasto con quello che io faccio durante l'allenamento, dove subentra la forza mentale che mi fa superare questi limiti. Io lo dico sempre, i limiti sono solo mentali e lo dico proprio a ragion veduta, provato e sperimentato sulla mia pelle.
L'allenamento disintossica?
Se io per due giorni non pedalo, quindi non sudo - e la mia sudorazione non è come quella di una persona normale, io nella mia ora e mezza di allenamento butto fuori anche 4 litri di liquidi e di tossine - sto male e peggioro. Sudando mi alcalinizzo e mi ossigeno, perché mi serve anche l'ossigenazione dei tessuti, io ho un'insufficienza respiratoria per una fibrosi polmonare e sono stato anche operato. Con l'ultimo intervento, ho superato abbondantemente i duecento punti di sutura. Quelle sono le mie medaglie, quelle che magari non mi sono state riconosciute per il servizio prestato e che invece tutti gli interventi che ho dovuto subire nel tempo mi hanno inciso sulla pelle. Ma le medaglie più belle sono quelle che ti arrivano ogni giorno dalle persone che non ti devono nulla e che ti riconoscono dei meriti per quello che fai, per l'incitamento e la voglia di vivere che dai anche agli altri. È uno scambio.
Come è scritto, Carlo Calcagni è un soldato, non fa il soldato...
C'è una bella differenza. Mi fa piacere che l'hai notata. Si, io sono un soldato. Ma sai, vestire ancora l'uniforme è per me una gratificazione in più che ha la sua parte nel mio essere, nel mio modo di vivere perché, come dico anche nel film, per me la divisa è tutto. E sono felice di dare comunque il mio contributo alla società, oltre che alla Forza Armata. Perché nonostante io sia stato riformato nel 2007 con il 100% di invalidità, sono rientrato grazie al Ruolo d'Onore, la possibilità che il nostro ministero della Difesa ci dà e siamo tra i pochi al mondo ad avere questa opportunità, a domanda rientrare in servizio e continuare a rendersi utili.
Come si fa, con tutti i problemi e la sofferenza, a mantenere un equilibrio?
Il mio è un equilibrio che basta un niente per farlo saltare, però in tutti questi anni ho sempre lottato. Il merito è tutto del mio passato, dall'educazione familiare compreso il lavoro in campagna con mio padre. E l'arte marziale, quindi la disciplina inculcata già a cinque anni con il judo, che non ho più lasciato e che ha contribuito a formare in parte il mio carattere. Poi otto anni, dalle medie al liceo classico, dai padri Scolopi a Campi Salentina. E, la ciliegina sulla torta che ha formato definitivamente quello che sono oggi, la vita militare. Soprattutto, sottolineo e rivendico di averlo voluto dopo aver vinto il concorso da allievo ufficiale, è stato l'andare per tre anni a Pisa, tra i paracadutisti, a mille chilometri da casa. È chiaro che dovevo essere molto motivato.
Nel film lo dico: non dimenticate che io sono un uomo della Folgore, e questo in molti casi fa la differenza. Poi, per professione e perché si vuole sempre migliorare e per me ogni traguardo è sempre stato non un punto d'arrivo ma di partenza, ho vinto il concorso per pilota di elicottero. Così ho iniziato a coltivare un'altra passione straordinaria che è stata quella del volo. Con tutte le specializzazioni a Viterbo, dove poi sono diventato pilota tattico operativo, il pilota osservatore dell'Esercito che, una volta qualificato, va ai reparti operativi ed è pronto a fare tutto il necessario, dal soccorso alle ricognizioni, sia in ambito militare che in campo civile.
Per quel che riguarda i civili, è una cosa che molti non sanno...
Quando io vado in giro, nelle scuole come altrove, a raccontare la mia esperienza, sottolineo sempre, perché tutti devono saperlo, che i militari non sono, come spesso veniamo definiti, guerrafondai. Chi li critica, invece, dovrebbe ringraziare tutti i giorni, per il fatto di avere dei militari che, 24 ore su 24, sono pronti per aiutare in qualsiasi modo la popolazione, dal soccorso urgente e magari di notte, come mi è capitato spesso quand'ero a Pontecagnano, vicino Salerno, alle calamità naturali come terremoti o alluvioni, all'ordine pubblico. Quando ci fu l'agguato a Giovanni Falcone, io il giorno dopo sono andato in Sicilia e ci sono rimasto per due anni, a lavorare con i magistrati e accompagnarli ai processi nell'aula bunker a Marsala, rischiando tutti la pelle ogni giorno. Quando Paolo Borsellino è saltato in aria, io ero sulla sua testa con l'elicottero, ho visto l'esplosione. Noi militari siamo sempre dalla parte del cittadino e siamo sempre pronti a salvare una vita. È gratificante ma, al tempo stesso, è brutto ascoltare chi ti critica pensando che i militari non servano e senza conoscere le cose.
Molti militari seguono Carlo Calcagni, da tempo...
È molto bello quando tra coloro che mi scrivono trovo dei colleghi (molti sono stati dei miei sottoposti) e quel che mi dicono mi emoziona. È una di quelle medaglie di cui ti parlavo che ti arrivano dal popolo, da chi non ti deve assolutamente nulla. Perché la medaglia che ti riconosce lo Stato, il ministero della Difesa, le istituzioni in genere, ti viene conferita per un tuo merito e quindi è giusto che ti venga data. Nel mio caso, per varie vicissitudini, io non ho avuto neanche una medaglia di cartone riciclato. Ma poi, quando capisci come funzionano queste cose, è ovvio che se nessuno ti propone, nessuno mai ti potrà dare quello che comunque ti spetterebbe di diritto.
Recentemente sono stato ricevuto dal capo di stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano. Mi ha fatto chiamare il giorno prima. Prontamente ho preso il primo aereo e sono andato, perché per me era come se fosse un ordine, perché ho sempre avuto massimo rispetto nei confronti dei miei superiori, sempre e comunque e ho un fortissimo attaccamento alla Forza Armata e un senso del dovere che per me è naturale.
Possiamo dire meglio tardi che mai?
Come io ho detto al generale Graziano - che si preoccupava, vista anche la mia condizione poiché io devo organizzare ogni viaggio con i miei farmaci e le mie terapie e mi ha detto che sperava di non avermi creato disagio facendomi chiamare - aspettavo da una vita questo momento e non me lo sono fatto scappare. Quindi, in quel paio d'ore con lui - l'incontro era previsto di pochi minuti, ma poi ha voluto conoscere bene la mia vicenda - ho potuto capire che le cose raramente vengono riferite a chi dovrebbe conoscerle. É questo, a volte, il motivo per cui ti puoi sentire abbandonato, perché chi deve sapere non sa e quindi non ha modo di fare quel che andrebbe fatto. E poi, come ti dicevo, ci sono i riconoscimenti da parte di persone che ti hanno incontrato e per i quali sei stato di esempio, come molti militari in servizio di leva sotto di me: alla Smipar li terrorizzavo, oggi sono per loro da esempio.
Questa è la differenza tra l'essere un Capo e solo comandare, tra l'essere autorevoli oppure autoritari...
Anche i miei comandanti, quelli di una volta, mi hanno insegnato che va bene la formalità, ma prima di tutto bisogna avere cura del proprio personale, che non si può trattare come numeri, come semplici soldatini. Molti fanno valere il grado: io non l'ho mai fatto. Tanti mi rimproveravano la confidenza con i sottufficiali, addirittura con i militari di leva. A Salerno i soldati semplici mangiavano con noi ufficiali. E spesso la sera eravamo insieme in palestra. Ma non è che se dai loro confidenza non sei più l'ufficiale e perdi il comando. Tu devi essere rispettato per quello che sei, non per il grado che rivesti. É ovvio che il grado sia importante, per il ruolo che poi vai a ricoprire, per le responsabilità che ti vengono affidate. Ma non è con quello che ti fai rispettare, altrimenti ne stai solo abusando. Mentre, quando questo ruolo ti viene riconosciuto a prescindere, sarai sempre rispettato e quando chiederai tutti saranno disposti a darti il massimo. E la cosa bella è che quel rispetto, che durante il servizio di leva comunque era dovuto, lo vedo oggi, a distanza di 30 anni, quando potrebbero dirmene di tutti i colori.
L'incontro con il generale Graziano, è una sorta di "pacificazione" con la Difesa?
Quella stretta di mano, il Crest che mi ha regalato, le foto insieme a lui, custodisco tutto in modo geloso. Quella stretta di mano mi riconosce quell'identità che in tutti questi anni ho cercato. È ovvio, come ho raccontato anche a lui, io capisco che molti mi hanno usato, hanno usato la mia storia, la mia condizione, per strumentalizzare e usarla contro la Forza Armata e quindi, quasi, mettendomi contro quella che è la mia famiglia e questo, in tutti questi anni, mi ha fatto male. Questo gli ho detto. Questa è la mia famiglia ma non è possibile aspettare dodici anni, da una richiesta di risarcimento fatta in via bonaria per non andare davanti a un giudice di un tribunale, mentre poi chi ha trattato la pratica mi ha risposto solo dopo questo tempo. Ho avuto un'attesa e una pazienza infinita che, credo, nessuno avrebbe avuto, con una risposta dalla direzione della Sanità Militare, avuta solo pochi mesi fa e con soltanto tre righe nelle quali è scritto che la mia domanda non può trovare accoglimento.
Una lunga lotta...
La Forza Armata non ha avuto lo stesso rispetto nei miei confronti, non mi è stata fatta neanche una proposta "oscena", poi stava a me se accettare oppure no e magari io, per il quieto vivere, avrei accettato anche l'euro simbolico. Perché sarebbe stato il giusto riconoscermi dell'aver sacrificato alla Forza Armata la mia vita e anche la salute. Anche questo ho detto al generale Graziano, gli ho detto che se riteneva l'avrei messo anche per iscritto, che fino a ieri non la pensavo in questo modo, ma dal momento in cui ero lì con lui e ho avuto modo di parlare, se mi facessero anche una proposta assurda, pur di chiudere tutto e in armonia, io l'accetterei.
E, tra le cose dette e quelle che mi hanno fatto, il non farmi partecipare a molti eventi, il tenermi sempre nascosto, qualcuno si è permesso anche di dire che io non ho rispetto della Forza Armata, che non dimostro attaccamento. E questo, gli ho detto, non lo posso accettare, nessuno deve permettersi di mettere in dubbio il rispetto che io ho per la Forza Armata e l'attaccamento che ho per l'uniforme che indosso. L'ho dimostrato con i fatti.
Sicuramente il generale Graziano tutto questo l'ha capito, una volta che l'ha saputo...
Credo sia stato il punto in cui ha voluto sapere di più e io gli ho spiegato un bel po' di cose, non ultimo quella del grado di generale, visto che mi hanno negato la promozione che mi spettava d'ufficio dal 1 gennaio 2013. Il ruolo d'onore ammette quattro promozioni, ne avevo fatte solo due, da tenente colonnello a colonnello. Nel ruolo d'onore non vai in valutazione, quando arriva il giorno scatta la promozione, che non comporta alcun costo per l'amministrazione perché la pensione non cambia. Ma la dottoressa che tratta queste pratiche mi scrisse che non potevo essere promosso in quanto nel mio ruolo di provenienza, ruolo speciale perché non ero da Accademia ma avevo iniziato dal complemento, non è previsto il grado di generale.
Risulta difficile da credere...
Lo è. Però la dirigente comanda e quello che dice lei è legge. Mi ha invitato a fare ricorso. Come ti ho spiegato prima, a me il grado in sé non interessa, ma se una cosa mi spetta di diritto mi andrebbe concessa e sarebbe anche un riconoscimento morale importante. E quindi ho fatto subito ricorso straordinario al presidente della Repubblica, sono passati più di cinque anni, nel 2013 sarei stato uno dei generali più giovani d'Italia e invece sto ancora aspettando una risposta, non so che fine abbia fatto il ricorso. Tieni conto che, tra terapie, interventi chirurgici, etc, ho talmente tanti impegni e altre priorità che figurati se posso stare dietro alla promozione da generale, così come è stato per i 12 anni di attesa per il risarcimento, anni passati a vuoto. Però chi sta trattando la pratica e mi deve rispondere che non può essere accolta, ha bisogno di 12 anni per dirmelo? O devo pensare che stiano aspettando che uno si tolga dalle scatole? Non si può tenere una richiesta buttata chissà dove per 12 anni perché è quella di Calcagni, non puoi rispondermi che a me non spetta quando poi gli altri li promuovi. Però volevo chiudere la questione pacificamente. Cosi il generale Graziano, saputa la vicenda, ha voluto conoscere Carlo Calcagni di persona. Perché sulla carta mi hanno sempre descritto in un modo, ma ripeto, è normale, perché mi hanno sempre messo contro il sistema.
C'è un riferimento a qualcuno in particolare?
Mi riferisco a tanti tuoi colleghi giornalisti. Quanta agitazione ho avuto per articoli pieni di inesattezze e bugie... Senza neanche porsi il problema di chiederti qualcosa, di interpellarmi. A cominciare dalla prima cosa che fa sensazione, ad esempio che Calcagni è malato da uranio impoverito. Ma chi sta parlando di uranio? Qui di tutto parliamo, tranne che di uranio. La mia causa di servizio è per "contaminazione da metalli pesanti", ormai documentata ufficialmente. Molti hanno scritto su di me solo quando avevano interesse a creare polemica contro il ministero della Difesa. E ne ho pagato sempre io le conseguenze. Ho lasciato correre, ma ora basta.
Nel film si evidenzia l'uomo, i valori, l'essere di esempio per gli altri, perché deve arrivare un messaggio, come è giusto che sia.
Un film che è la storia di una vita...
È la mia storia. È ovvio che nella mia storia ci sia anche il soldato e, scusa se è poco, c'è tutto quello che ho fatto ed è tantissimo e c'è anche la malattia, per la quale non parliamo del perché, ma di come, oggi quest'uomo affronta una problematica così difficile e nonostante tutto continua a sorridere alla vita, a fare sport, a puntare a obiettivi importanti, a quei traguardi che ti permettono di affrontare terapie, interventi, dialisi e dolori lancinanti tutti i giorni. Ma se tutto questo mi permette di gioire ancora del sorriso dei miei figli o di andare agli Invictus in Australia dal 17 al 29 ottobre 2018, allora facciamolo. Sai quante volte ho avuto la voglia di mollare tutto e lasciarmi andare? Invece, anche per quello che rappresento per tante persone, per i giovani in cui vedo i miei figli e la cui risposta è splendida, trovo la forza e vado avanti.


L'ex Allievo Bianco Camillo (Corso 142° - 17°) ha inserito questi filmati a ricordo dei settecentomila IGNOTI della Prima Guerra Mondiale, in occasione del prossimo centenario ore 15 del 4 novembre 2018. Il padre Bianco Ercole era Aspirante e poi Sottotenente di Artiglieria.
Filmati : Storia Prima Guerra Mondiale
Vittoria di Vittorio Veneto di 100 anni fa
Meinero Max Massimo RICORDA ... 29 OTTOBRE 1918 - PRIMA GUERRA MONDIALE - BATTAGLIA DI VITTORIO VENETO La battaglia di Vittorio Veneto o terza battaglia del Piave fu l'ultimo scontro armato tra Italia e Impero austro-ungarico nel corso della prima guerra mondiale. La battaglia di VITTORIO VENETO o terza battaglia del PIAVE fu l'ultimo scontro armato tra ITALIA e IMPERO AUSTRO-UNGARICO nel corso della prima guerra mondiale.
Link a FB : Centenario Prima Guerra Mondiale
Si combatté tra il 24 ottobre e il 4 novembre 1918 nella zona tra il FIUME PIAVE, il MASSICCIO DEL GRAPPA, il TRENTINO e il FRIULI e seguì di pochi mesi la fallita offensiva austriaca del giugno 1918 che non era riuscita a infrangere la resistenza italiana sul PIAVE e sul GRAPPA e si era conclusa con un grave indebolimento della forza e della capacità di combattimento dell'Imperial Regio Esercito austro-ungarico.
L'attacco decisivo italiano, fortemente sollecitato dagli alleati che erano già passati all'offensiva generale sul fronte occidentale, ebbe inizio solo il 24 ottobre 1918 mentre l'Impero austro-ungarico dava già segno di disfacimento a causa delle crescenti tensioni politico-sociali tra le numerose nazionalità presenti nello stato asburgico, e mentre erano in corso tentativi di negoziati per una sospensione delle ostilità.
La battaglia di VITTORIO VENETO fu caratterizzata da una fase iniziale duramente combattuta, durante la quale l'esercito austro-ungarico fu ancora in grado di opporre valida resistenza sia sul PIAVE sia nel settore del MONTE GRAPPA, a cui seguì un improvviso e irreversibile crollo della difesa, con la progressiva disgregazione dei reparti e defezioni tra le minoranze nazionali, che favorirono la rapida avanzata finale dell'Esercito Italiano fino a TRENTO e TRIESTE.
Il 3 novembre 1918, con entrata in vigore dal giorno successivo, venne concluso l'ARMISTIZIO di VILLA GIUSTI che sancì la fine dell'Impero austro-ungarico e la VITTORIA dell'ITALIA nella Grande Guerra.
Il Generale Giardino diede inizio, secondo le direttive impartite dal Comando Supremo di ABANO, a un nuovo giorno di attacchi nel SETTORE del GRAPPA.
Alle ore 09:00, con un tempo in miglioramento, il IX° Corpo d'Armata sferrò l'assalto al MONTE ASOLONE e al COL DELLA BERRETTA con in testa i reparti di Arditi del Maggiore Giovanni Messe: furono raggiunti alcuni successi iniziali ma ancora una volta gli austro-ungarici concentrarono le loro forze e contrattaccarono.
Entro le ore 11:00 gli italiani erano ritornati sulle posizioni di partenza; gli Arditi subirono perdite e il Maggiore Messe fu ferito.
L'attacco del VI° Corpo d'Armata non raggiunse alcun risultato, l'Artiglieria austro-ungarica intervenne con efficacia e i reparti italiani sul MONTE PERTICA dovettero anche respingere un assalto nemico.
Alle ore 18:00 il Comando Supremo, di fronte alla tenace resistenza, dovette ordinare di nuovo di sospendere gli attacchi il 30 ottobre, in attesa degli sviluppi della situazione sul PIAVE.
In effetti sulla destra della 4ª Armata la 12ª Armata del francese Graziani stava facendo buoni progressi e minacciava di aggirare da est le difese del MASSICCIO del GRAPPA.
Le Brigate "Re" e "Trapani" del I° Corpo d'Armata avanzarono verso la CONCA di ALANO DI PIAVE e il villaggio di FAVARI, mentre sulla SINISTRA del PIAVE la 23ª Divisione francese occupò SEGUSINO e la 52ª Divisione Alpina marciò con successo lungo i ripidi pendii del MONTE CESEN; due Divisioni austro-ungariche erano state sconfitte e ripiegavano in direzione di FOLLINA.
La situazione stava evolvendo in modo sempre più favorevole agli italiani soprattutto nel SETTORE del PIAVE; nella notte la corrente del fiume era diminuita e l'artiglieria austro-ungarica, messa in pericolo dall'avanzata laterale delle colonne del XVIII° Corpo, aveva molto ridotto la sua attività.
In queste condizioni i reparti Pontieri poterono attivare due nuovi attraversamenti a FONTANA DEL BUORO e a valle dei PONTI della PRIULA mentre venne potenziato il PONTE di SALETTUOL utilizzato dalle truppe britanniche.
L'intera 8ª Armata del Generale Caviglia passò quindi sulla RIVA SINISTRA del PIAVE, e il XXII° Corpo poté incominciare l'avanzata in profondità senza incontrare molta resistenza; vennero occupate PIEVE DI SOLIGO, SOLIGHETTO E REFRONTOLO.
Anche l'VIII° Corpo, passato al comando del Generale Grazioli, riuscì finalmente ad attraversare il fiume sul ponte costruito a NERVESA; una parte delle truppe, Brigate "Tevere" e "Aquila", marciò fino a SANTA MARIA DI FELETTO, mentre la Brigata "Lucca" avanzò sulla direttrice SUSEGANA - MANZANA - VITTORIO VENETO.
Sul PONTE della PRIULA attraversò l'intera 2ª Divisione d'Assalto che raggiunse e liberò SUSEGANA.
Contemporaneamente il XVIII° Corpo d'Armata avanzava rapidamente verso nord; a RAMERA e SARANO le Brigate della 33ª Divisione furono duramente contrastate da reparti austro-ungarici del XXIV° Corpo d'Armata schierati per proteggere CONEGLIANO ma le Brigate "Sassari" e "Bisagno" riuscirono gradualmente ad avanzare, mentre le Brigate "Como" e "Ravenna" dopo aver superato le difese nemiche marciarono verso il FIUME MONTICANO.
La posizione della 6ª Armata austro-ungarica diveniva sempre più precaria: questa era ormai separata dalla 5ª Armata a causa del profondo cuneo inserito dalle forze nemiche a nord del PIAVE, e le unità austriache del XXIV° Corpo inoltre rischiavano di essere tagliate fuori dall'avanzata del XVIII° Corpo e dalla contemporanea marcia dei reparti britannici di Cavan che erano già a nord del FIUME MONTICANO.
La 10ª Armata anglo-italiana riuscì infatti a superare la resistenza di due Divisioni austro-ungariche: alcune formazioni arrivarono al fiume e, sostenute da violenti attacchi di aerei italiani e britannici che scossero le difese, lo superarono alle ore 10:00 e costituirono una testa di ponte.
Alcuni reparti austriaci si disgregarono, e fuggirono in disordine, altri rifiutarono di contrattaccare; una parte delle truppe britanniche alle ore 12:00 occuparono CIMETTA mentre altri reparti avanzarono verso nord-ovest e minacciarono le retrovie del XVI° Corpo austro-ungarico.
La 6ª Armata austro-ungarica rischiava quindi di essere isolata e distrutta: mentre il XXIV° Corpo si batteva per coprire CONEGLIANO, le truppe incaricate di frenare l'avanzata del XXII° Corpo d'Armata italiano stavano arretrando a loro volta nel crescente disordine; il Generale Wurm, Comandante della 5ª Armata, avvertì del successo britannico a nord del MONTICANO.
Alle ore 16.30 venne ordinata la ritirata generale della 6ª Armata dietro il LIVENZA, ma questa manovra tuttavia provocò la perdita del contatto sul fianco destro con il "Gruppo Belluno" del Generale von Goglia che a sua volta nel pomeriggio ordinò i primi ripiegamenti per coprire le PREALPI BELLUNESI.
Alle ore 23:00 le Brigate "Sassari" e "Bisagno" occuparono CONEGLIANO, mentre il XXIV° Corpo austro-ungarico si ritirava verso SACILE.
Anche il Generale Wurm aveva deciso la ritirata, e la 5ª Armata durante la notte incominciò a evacuare la linea del BASSO PIAVE.
Le truppe italiane quindi rientrarono nelle prime città e villaggi del VENETO occupati per quasi un anno dal nemico e liberarono le popolazioni che avevano duramente sofferto il dominio austro-ungarico. Le devastazioni e i saccheggi operati specialmente dai soldati tedeschi e ungheresi erano state notevoli, e i soldati italiani furono accolti con grande sollievo e ricevettero entusiastiche acclamazioni dalla popolazione liberata.
Il Generale Boroevic riteneva ormai la situazione disperata: si moltiplicavano le defezioni e gli ammutinamenti tra i reparti, era impossibile continuare la resistenza.
Egli considerava soprattutto importante salvaguardare una parte dell'esercito e organizzare la ritirata fino ai confini dell'Impero, e alle ore 12:00 diede indicazioni in questo senso al Quartier Generale austro-ungarico; alle ore 19:30 il Generale Arz von Straussenburg ordinò l'evacuazione "in modo ordinato" del VENETO, ma il Comando del Gruppo d'Armate del TIROLO comunicò che a causa delle condizioni delle truppe questa manovra di ritirata era inattuabile e consigliò un armistizio immediato senza condizioni.
Nella mattinata si era avuto il primo contatto tra le due parti in lotta: alle ore 09:20 il Capitano Kamillo von Ruggera, incaricato dal Generale Weber, aveva superato le linee italiane a SERRAVALLE ALL'ADIGE per presentare una missiva della Commissione d'Armistizio Austriaca trasferitasi a ROVERETO.
Ricevuto al comando della 26ª Divisione Fanteria italiana, l'Ufficiale austriaco consegnò la lettera del Generale Weber che chiedeva di aprire le trattative per stabilire le condizioni di armistizio; la lettera venne trasmessa al Comando Supremo italiano che contestò la validità giuridica dei documenti presentati e affermò che non si intendeva intavolare alcuna trattativa che avrebbe potuto interrompere le operazioni belliche; si era invece pronti a ricevere delegati con pieni poteri per comunicare loro le condizioni per la resa concordate dall'Alto Comando italiano con gli Alleati.

L'ex Allievo Biagio Indelicato ha inserito questa foto con il seguente commento:
26 ottobre 1979: ingresso in Accademia Militare del 161° Corso "Esempio"26 ottobre 2018: 39° anniversario
Auguri a tutti noi di questo magnifico corso!
Un particolare e commosso pensiero va anche ai nostri "fratelli del 161°" che ci guardano e ci guidano dal lassù
..... congratulazioni e complimenti vivissimi ...

ex Allievi in evidenza: MODENA. GIURANO I
SOTTOTENENTI DEL CORPO DEGLI INGEGNERI E DEL CORPO SANITARIO DELL'ESERCITO DEL
198° CORSO "SALDEZZA"Si è svolta presso l'Accademia Militare di Modena, la
cerimonia di giuramento in forma individuale per undici Sottotenenti del Corpo
di Sanità e undici Sottotenenti del Corpo degli Ingegneri appartenenti al 198°
Corso "Saldezza".Gli Ufficiali, promossi il 1° settembre scorso al termine del
biennio accademico, hanno prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica
Italiana dinanzi alla Bandiera dell'Istituto, alla presenza del Generale di
Brigata Stefano Mannino, Comandante dell'Accademia Militare.Gli undici Sottotenenti del Corpo degli Ingegneri
proseguiranno il percorso formativo a Modena per un ulteriore anno prima di
essere trasferiti alla Scuola di Applicazione di Torino, dove concluderanno gli
studi, mentre gli Ufficiali frequentatori dei corsi di laurea in Medicina
Veterinaria e in Medicina e Chirurgia permarranno in Accademia Militare fino al
conseguimento delle rispettive lauree magistrali presso l'Università degli
Studi di Bologna e Modena-Reggio Emilia..... congratulazioni e complimenti vivissimi ai nostri giovani colleghi ...
(da FB Meinero Max Massimo)


IL RICAMBIO DEL PERSONALE E' A PERDERE. MOLTI VANNO IN PENSIONE E POCHI VENGONO ASSUNTI.
POCHISSIMI GLI ASSUNTI NELL'IMPIEGO CIVILE.
L'Esercito risulta essere ad oggi il fanalino di coda sotto il profilo degli investimenti e addestramento, rispetto alle altre due forze armate tradizionali: Aeronautica e Marina.
Fino al 2024 si subiranno altre ristrutturazioni, soppressioni e riduzione del personale militare. Difficile reclutare nuovi FVP1.
I Giovani idonei e di ottima salute sono poco
attratti dall'Esercito e per questo il Generale Farina chiede di
ripristinare un anno obbligatorio nelle FF.AA. prima di poter accedere
nelle FF.PP..
Ai Graduati saranno assegnati molti incarichi ora
svolti dai Direttivi del ruolo Marescialli. Quindi non illudiamoci di
vedere finiti i sacrifici per il personale che rientrerà nelle
ristrutturazioni e soppressioni.
Tutto questo ce lo racconta il
Sindacato FLP Difesa con una nota e il video integrale del Generale
FARINA al Senato, tutto reso disponibile anche da noi.
Il Generale Farina ha esordito ricordando le quattro missioni della F.A.:
la difesa dello Stato;
la difesa degli spazi euro-atlantici ed euro-mediterranei;
il contributo alla difesa della pace e della sicurezza internazionale;
i concorsi e compiti specifici per la salvaguardia delle istituzioni e per fronteggiare le calamità naturali.
A
tal riguardo, ha segnalato come oggi siano 3.400 gli uomini e le donne
dell'Esercito impegnati in missioni internazionali e 7.300 in operazioni
in Patria, di cui circa 7.000 nell' "operazione strade sicure", mentre
altre 8.100 operano in forze di pronto impiego. Dunque, in totale, sono
18.800 gli "operativi".
Ha quindi tracciato le cinque linee programmatiche della F.A.
La
PRIMA è relativa al processo di razionalizzazione avviato dalla legge
135/2012 e poi dai decreti legislativi nn. 7 e 8/2014, che è stato
portato avanti salvaguardando al massimo la componente operativa, che
oggi rappresenta il 75% della F.A..
Già attuate n. 63 delle 83
soppressioni e n. 110 delle 124 riorganizzazioni previste, che si
tradurranno in una riduzione strutturale pari al 31% entro il 2024.
Ha
quindi lamentato l'insufficienza dell'organico militare previsto al
31.12.2024 (89.440, taglio del 20%) a fronte degli attuali 94.000
effettivi (di cui 7% donne), auspicando l'incremento a 99.000.
Il
Generale ha anche affermato che lo "snellimento organizzativo"
proseguirà attraverso l'"alleggerimento dei comandi divisionali" e delle
stazioni appaltanti" (da 260 a 70)
La SECONDA linea programmatica
del Capo di SME riguarda il personale "che rappresenta la componente
centrale della F.A." e che dovrà essere valorizzato ponendo molta
attenzione al benessere, alla sicurezza dell'ambiente di lavoro e ai
bisogni familiari, e coniugando tra loro meritocrazia, trasparenza e
partecipazione, nel quadro di una operazione di necessario
ringiovanimento a fronte del progressivo invecchiamento che si sta
registrando.
TERZO. Ha quindi parlato del personale civile
dell'Esercito definendolo "una componente che garantisce un contributo
prezioso e soprattutto specialistico nell'area T/I" (Poli, in primis),
denunciando da una parte le criticità legate al mancato turnover di
questi anni che ha determinato "la perdita progressiva di capacità", ma
dall'altra prospettando uno scenario futuro alquanto ottimistico
determinato dai bandi di concorso già pubblicati (ma trattasi in tutto
di 30 assistenti tecnici........) e di 450 assunzioni nel prossimo
triennio (dati questi che ci sembra non corrispondano alle previsioni di
cui al Piano del Fabbisogno (PTFP) di PERSOCIV (si veda il Notiziario
n. 93 del 30.08.2018), peraltro oggi già in revisione. A nostro avviso,
le gravi carenze non sono solo quelle tecniche e quelle dell'area
industriale, ed ad esse si potrà far fronte solo tramite un piano
straordinario di assunzioni in deroga alle attuali capacità
assunzionali.
QUARTO. Il Generale Farina poi accennato al grave
problema del taglio delle risorse per l'esercizio (dai 1149 mln del 2002
ai 255 mln del 2018!), che inducono enormi criticità in primis ai fini
dell'addestramento.
Servono più risorse anche per ridurre l'attuale
gap capacitivo con le altre FF.AA., e da qui la richiesta, che il Capo
SME ha già avanzato in ambito IF, che vengano destinate all'Esercito
gran parte delle risorse assegnate al M.D.
QUINTO. Ultimo argomento,
il parco infrastrutturale: 2.700 immobili complessivi di varia
tipologia, di cui 470 caserme, solo 6 quelle edificate negli ultimi 30
anni.
Trattasi dunque di strutture vetuste e poco funzionali, senza
adeguata manutenzione, e che pertanto sono anche portatori di situazioni
di rischio per il personale.
Per questo, occorrerà un piano di
ammodernamento e la costruzione di nuove infrastrutture (le "caserme
verdi", anche aperte alla cittadinanza, di cui è partita a Roma
Cecchignola una prima e positiva esperienza pilota). .... chi l'avrà ascoltato, avrà compreso?

ITALIANO RICORDA....
14 OTTOBRE 1962 - GUERRA FREDDA - CONFRONTO TRA USA E
URSS - CRISI DEI MISSILI DI CUBA.
Le foto scattate da un aereo spia U-2 dell'US Air Force
statunitense il 14 ottobre 1962 mostrano chiaramente la costruzione di una
postazione per dei missili SS-4 sovietici vicino a San Cristóbal sull'isola di
Cuba. È l'inizio della crisi internazionale tra USA e URSS.
La crisi dei missili
di Cuba, conosciuta anche come crisi di ottobre fu un confronto tra Stati Uniti
e Unione Sovietica in merito al dispiegamento missili balistici sovietici a
Cuba in risposta a quelli statunitensi schierati in Italia e Turchia.
L'episodio è stato considerato uno dei momenti più
critici della Guerra fredda in cui si è arrivati più vicino ad una guerra
nucleare.
Come reazione alla fallita invasione della Baia dei
Porci del 1961 e alla presenza di missili balistici americani Jupiter in Italia
e Turchia, il leader sovietico Nikita Chruščёv decise di accettare la richiesta
di Cuba di posizionare missili nucleari sull'isola al fine di scoraggiare una
possibile futura invasione.
L'accordo venne raggiunto durante un incontro
segreto tra Chruščёv e Fidel Castro nel luglio 1962 e la realizzazione delle strutture
di lancio dei missili venne avviata poco più tardi.
Gli Stati Uniti e la Casa Bianca aveva negato
l'accusa di ignorare la presenza di pericolosi missili sovietici a 90 miglia
dalla Florida. I sospetti vennero confermati quando un aereo spia Lockheed U-2
dell'United States Air Force ha prodotto evidenti prove fotografiche della
presenza di missili balistici a medio raggio (R-12) e intermedi (R-14).
Gli Stati Uniti allestirono un blocco militare per
impedire che ulteriori missili potessero giungere a Cuba, annunciando che non
avrebbero consentito ulteriori consegne di armi offensive a Cuba e chiedendo
che i missili già presenti sull'isola fossero smantellati e restituiti
all'Unione Sovietica.
Dopo un lungo periodo di stretti negoziati venne
raggiunto un accordo tra il presidente americano John F. Kennedy e il
presidente russo Nikita Chruščёv. Pubblicamente, i sovietici avrebbero
smantellato le loro armi offensive a Cuba e le avrebbero restituite all'Unione
Sovietica, a condizione della verifica delle Nazioni Unite, in cambio di una
dichiarazione pubblica da parte statunitense di non tentare di invadere
nuovamente Cuba. In segreto, gli Stati Uniti hanno anche acconsentito di
smantellare tutti gli PGM-19 Jupiter, di loro fabbricazione, schierati in Turchia
e in Italia.
Quando tutti i missili offensivi ed i bombardieri
leggeri Ilyushin Il-28 vennero ritirati da Cuba, il blocco venne formalmente
concluso il 21 novembre 1962. I negoziati tra gli Stati Uniti e l'Unione
Sovietica misero evidenza la necessità di una rapida, chiara e diretta linea di
comunicazione riservata e dedicata tra Washington e Mosca. Di conseguenza,
venne realizzata la cosiddetta linea rossa Mosca-Washington.
Una serie di ulteriori accordi ridusse le tensioni
tra gli Stati Uniti e i l'Unione Sovietica per diversi anni.

ex Allievi in evidenza: ROMA, Caserma "Gandin"
Oggi 12 ottobre 2018
Cerimonia del cambio del Comandante del 1° Reggimento "Granatieri di Sardegna" tra il Colonnello Stefano Chironi (cedente) e il Colonnello Federico Lattanzio (subentrante).
Un saluto dal Capitano Filippo Barone, dal Tenente Pietro Appice e dal Tenente Giulio De Renzis del 193° Corso ...
(da Meinero Max Massimo)

NUOVI TAGLI IN VISTA PER LA DIFESA ITALIANA
10 ottobre 2018 di Gianandrea Gaiani
"Abbiamo detto ai cittadini per anni che le spese per gli armamenti andavano ridotte e cominciamo a ridurle" ha dichiarato nei giorni scorsi il vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico (nonchè leader del Movimento 5 Stelle) Luigi Di Maio.
In un'intervista a "Famiglia
Cristiana" il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha invece
sottolineato che "questo governo non ha speso un solo euro per
l'acquisto di nuovi F-35.
Tutto quello che è stato fatto fino a ora è
frutto delle decisioni di chi ci ha preceduto. Noi oggi stiamo
valutando gli impatti occupazionali ed economici della riduzione del
programma. Un ridimensionamento ci sarà sicuramente, con modalità e
tempi che chiariremo in modo chiaro e preciso".
Il dibattito sui
tagli alla Difesa era entrato nel vivo nei giorni scorsi quando alcuni
media avevano riferito (smentiti da M5S) screzi tra Di Maio e il
ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, per la decisione del
vicepremier di azzerare il programma per la difesa aerea CAMM ER, il
nuovo missile anglo-italiano realizzato da MBDA che dovrà rimpiazzare i
vecchi sistemi antiaerei basati sul missile Aspide che hanno ormai
raggiunto i limiti tecnici della loro vita operativa.
In attesa di
conferme circa l'entità dei reali tagli al bilancio e dettagli sui
programmi di acquisizione che verranno effettivamente ridotti o
azzerati, alcuni elementi meritano di essere evidenziati.
La volontà
di tagliare le spese militari risponde in termini politici a quanto
programmato da M5S soprattutto se si parla dei cacciabombardieri F-35 il
cui taglio potrebbe essere oggi ancor più giustificato dal fatto che il
Pentagono ha bocciato l'aereo italiano T-346 proposto come nuovo
addestratore delle forze aeree USA, a cui è stato preferito il velivolo
offerto da Boeing/Saab.
La riduzione dei 90 F-35 previsti per
Aviazione di Marina e Aeronautica andrebbe però vagliata anche alla luce
delle intese politiche ed economiche tra il governo Conte e
l'Amministrazione Trump, intese di valore strategico specie ora che
l'esecutivo italiano si è posto in rotta di collisione con la
Commissione Ue su più fronti, dalla manovra di bilancio al contrasto
all'immigrazione illegale.
Inoltre non è chiaro se gli F-35 tagliati
verrebbero rimpiazzati o meno con aerei "made in Italy" o "europei"
quali gli M-346FA o ulteriori Typhoon.
In termini finanziari la
Difesa rischia di diventare il "bancomat" del governo a cui attingere
per fare cassa a favore di altre voci di spesa della imminente messa a
punto della Legge Finanziaria.
Non sarebbe certo la prima volta: il
governo Renzi tra il 2014 e il 2015 tagliò i fondi per la Funzione
Difesa da 14,6 miliardi a 13,2.
In questo senso le dichiarazioni di
Di Maio potrebbero riguardare non tanto un taglio al Bilancio della
Difesa (nel 2018 quasi 21 miliardi di euro di cui quasi 7 miliardi
assorbiti da Carabinieri, Pensioni Ausiliarie e Funzioni Esterne
lasciando solo 13,8 miliardi alla Funzione Difesa) ma una forte
decurtazione dei fondi che ogni anno il Ministero dello Sviluppo
Economico (MiSE) stanzia per sostenere l'acquisto di nuovi sistemi
d'arma ed equipaggiamenti militari.
Fondi pari l'anno scorso a 3,1
miliardi, indispensabili a sostenere il rinnovamento dei mezzi militari
considerato che dei fondi assegnati alla Funzione Difesa ben 10,1
miliardi sono stati quest'anno assorbiti dalla voce Personale, cioè dal
pagamento degli stipendi.
Coi fondi MiSE vengono da anni finanziati
molti programmi di acquisizione militare ma non i CAMM ER, finanziati
invece con fondi di bilancio per un totale di 545 milioni di euro
spalmati (95 per lo sviluppo dell'arma e 450 per la sua acquisizione),
spalmati però tra il 2018 e il 2031: per intenderci si tratta di 13
milioni per quest'anno, 25 per il 2019 e altrettanti per il 2020.
La
vicenda del CAMM ER potrebbe quindi anticipare lo scenario peggiore
ipotizzati dagli ambienti militari e industriali in cui la forte
riduzione dei fiondi MiSE verrebbe accompagnata dal taglio delle risorse
assegnate al Bilancio Difesa.
Poiché è necessario pagare gli
stipendi e il ministro Trenta ha fatto del trattamento del personale la
sua bandiera (incluso il progetto di sindacalizzazione dei militari), i
tagli colpirebbero inevitabilmente le voci del bilancio assegnate
all'acquisizione nuovi equipaggiamenti (Investimenti, quest'anno pari a
2,3 miliardi) e a manutenzione di mezzi e infrastrutture, addestramento e
carburante (Esercizio, pari nel 2018 a 1,42 miliardi).
Col rischio
concreto di accelerare il processo di paralisi dello strumento militare
che potrebbe venire favorito anche dalla rivisitazione al ribasso delle
missioni militari oltremare, di cui devono essere finanziati anche gòli
ultimi tre mesi di quest'anno poichè lo stanziamento di poco meno di un
miliardo attuato dal governo Gentiloni e approvato in gennaio dal
Parlamento copre solo i primi nove mesi del 2018.
A questa voce,
finanziata dal Ministero dell'Economia e Finanze (MEF) sono stati
attribuiti negli ultimi esercizi fimanziari circa 1,5 miliardi annui
includendovi anche i fondi per la Cooperazione allo sviluppo.
Non è
ancora chiara l'entità della riduzione degli impegni militari
all'estero, poco più che simbolica nell'ultimo trimestre di quest'anno
ma decisamente più marcata nel 2019 secondo quanto preannunciato nei
giorni scorsi.
Di certo però il taglio delle operazioni oltremare
ridimensionerà sensibilmente anche i fondi per l'approntamento dei
reparti destinati ad essere impiegati all'estero, inclusi in tale
bilancio e che hanno consentito in questi anni di ristrettezze a molti
reparti di addestrarsi all'impiego operativo nonostante la mancanza di
fondi adeguati a questo scopo alla voce Esercizio degli stanziamenti
assegnati nel Bilancio alla Funzione Difesa.
Un contesto che
richiederà chiarimenti anche sul piano politico tenendo conto che, con i
tagli ventilati, l'Italia si confermerebbe la "cenerentola" d'Europa e
della Nato nella percentuale del PIL assegnata alla Difesa, che potrebbe
scendere dall'attuale 1,1 al di sotto della soglia dell'1%.
Proprio
mentre la Francia (che però da sempre può sforare il rapporto
deficit/Pil in una misura che la Ue non consente all'Italia) porterà nel
2019 la sua spesa militare vicina ai 40 miliardi.
Un contesto
difficile non solo per le forze armate italiane ma anche per l'industria
che sta facendo fronte al delicato momento serrando i ranghi delle sue
aziende più rilevanti come dimostra l'intesa annunciata ieri tra
Leonardo e Fincantieri nel settore navale.
Il sottosegretario alla
Difesa Angelo Tofalo (M5S), ha definito recentemente "doveroso per
l'Italia entrare subito nel programma Tempest", il nuovo caccia
britannico di sesta generazione presentato nel giugno scorso al Salone
aerospaziale di Farnborough il cui sviluppo coinvolge anche Leonardo.
Un'adesione che richiederebbe però immediati stanziamenti finanziari
non tagli: difficile infatti accreditarsi come partner affidabile di
Londra su un programma così a lungo termine come il Tempest se non si
riesce neppure a mantenere gli impegni assunti sul meno costoso missile
CAMM ER.
L'altro sottosegretario alla Difesa, il leghista Raffaele
Volpi, ha invece ricordato che "trattare le spese militari come uno
spreco di risorse non ha senso.
Ogni ipotesi di previsione di tagli
ai programmi di investimento e di ammodernamento potrebbe generare
impatti sull'occupazione ed ulteriori oneri sociali a carico dei
contribuenti" spiegando che "il comparto industriale dell'aerospazio e
difesa fattura più di 14 miliardi di euro all'anno, corrispondenti allo
0,8% del nostro Pil" e impiega "oltre 44mila persone, che salgono a più
di 110mila se si considerano anche indotto ed altri impatti indiretti.
Le aziende, inoltre, pagano tasse allo Stato per non meno di 4,5
miliardi. (da Meinero Max Massimo)

Il nostro Patrono

Tra le autorità presenti, il Ministro della Difesa, Sen. Roberta Pinotti, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Claudio Graziano, i Capi di Stato Maggiore delle altre Forze Armate, il Capo della Polizia, i già Ordinari Militari, S.E. Monsignor Gaetano Bonicelli, S.E. Monsignor Giuseppe Mani e S.E. Monsignor Giovanni Marra, oltre al Direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII, Don Ezio Bolis, al pronipote del Santo Papa, Dott. Emanuele Roncalli e a numerose altre autorità civili, militari e religiose.
La semplice cerimonia odierna ha rappresentato un momento di profonda riflessione interna che, vissuta nel raccoglimento dei partecipanti, tra cui una folta schiera di cappellani militari, è stata occasione per conoscere meglio la vita e la figura di Don Angelo Roncalli e il percorso spirituale seguito dallo stesso come Soldato, Sergente di Sanità e Cappellano Militare, sulla base di quanto egli stesso scriveva "in tempo reale" nel suo "Giornale dell'Anima" e senza la coscienza di un episcopato che non aveva ancora ricevuto, come ha ben illustrato il Vicario Generale Militare, Monsignor Angelo Frigerio.
L'elevazione di San Giovanni XXIII Papa a Patrono di tutto l'Esercito costituisce il completamento di un percorso iniziato il 3 novembre 1996, con la consegna della Bandiera dell'Esercito dall'allora Presidente Oscar Luigi Scalfaro, che mira a raccogliere sotto un unico vessillo e Santo Patrono le già consolidate tradizioni storiche e spirituali delle singole Armi e Specialità dell'Esercito.
In merito, il Generale Errico ha affermato "la venerazione di San Giovanni XXIII Papa rappresenta un'aspirazione devozionale, fortemente condivisa da tutto il personale dell'Esercito che vede, in questo celestiale punto di riferimento, una costante fonte di ispirazione nel quotidiano cammino di servizio."
L'Ordinario Militare per l'Italia nel suo discorso ha detto "Accogliere San Giovanni XXIII come Patrono presso Dio dell'Esercito Italiano è un dono speciale, che si fa dovere e sfida: ricalcare il cammino da lui percorso, che ha come sfondo la pace! Ricevere Papa Giovanni come Patrono conferma, ai nostri militari, il valore di un culto maturato nel tempo e schiude strade future.
È un dono e una speranza perché egli custodisca la loro vita ed essi possano continuare a custodire i valori della giustizia e della fraternità, diventando sempre più testimoni di pace, con la loro missione a servizio della difesa della vita umana."

ex Allievi in evidenza: KABUL (AFGHANISTAN). REPORTAGE AFGHANISTAN: GENERALE MASSIMO PANIZZI, "ADDESTRARE LE FORZE DI SICUREZZA È UNA DELLE ARMI MIGLIORI PER COMBATTERE IL TERRORISMO"
(di Giusy Federici) 10/10/2018
Questa esperienza in Afghanistan è una sfida professionale ed umana complessa, unica, certamente difficile, ma soprattutto entusiasmante. Per i nostri ufficiali, sottufficiali e graduati è una vera, grande "palestra di professionalità".
Il generale di Divisione Massimo Panizzi é responsabile della Divisione
Supporti della missione "Resolute Support, Divisione che comprende le
attività logistiche, la gestione delle basi NATO (strategiche e
tattiche) e degli aeroporti, le comunicazioni e la cyber defense, la
gestione del personale della missione, gli aspetti finanziari e sanitari
e il monitoraggio delle relazioni fra Afghanistan e Forze NATO. Da lui
dipendono circa 800 persone (militari e civili) di 21 Nazioni. Il
generale rappresenta anche, per conto dello stato maggiore della Difesa,
tutti i militari italiani, garantendo fra l'altro che il loro mandato
nazionale venga rispettato.
Generale Panizzi, cosa risponde a chi le chiede perché siamo in Afghanistan?
Rispondo
che la NATO è qui per addestrare, consigliare e assistere le Forze di
Sicurezza afghane e le Istituzioni ad esse collegate. Recentemente, al
summit di Bruxelles, l'Alleanza Atlantica ha confermato il suo impegno
fino al 2024. Un sostegno determinato - come evoca il nome della
missione, Resolute Support - e indispensabile per le speranze di pace di
un popolo sfortunato, che è stanco di vivere nella precarietà, dopo
decenni di guerra. Questa è la missione a guida NATO che per
complessità, impegno della comunità internazionale, varietà e numero di
attori coinvolti e per interessi in gioco, è la più imponente.
Le notizie che ci giungono sono di una situazione che sembra peggiorare. Ci sono speranze di miglioramento?
Al
di là delle notizie drammatiche che i media riportano, al nostro
livello si percepiscono alcuni importanti indizi di cambiamento: il
recente "cessate il fuoco" ha generato un vero e proprio dibattito
interno fra le varie anime del tessuto sociale e politico afghano. Le
Forze di Sicurezza migliorano i loro standard operativi, c'è una nuova
consapevolezza. Inizia ad esserci la visione di un futuro diverso.
Certo, si tratta di un progetto ambizioso, di un cammino arduo,
soprattutto lungo. Non si creano istituzioni solide dall'oggi al domani,
specie in un contesto complesso caratterizzato dal terrorismo. Non è un
caso che la comunità internazionale (ben 41 Paesi) sia fortemente
impegnata in questa sfida, che non è soltanto di carattere militare, ma
anche diplomatica e sociale.
Ma sembra che attualmente l'Afghanistan sia ingovernabile...
Non
è esatto. C'è un presidente eletto, c'è un governo di unità nazionale
con i propri ministri, c'è, in altre parole, una struttura
politico-amministrativa regolarmente in carica e che cerca di rendere
efficaci le giovani istituzioni afghane, le province e i distretti. Ci
sono problemi enormi, fra i quali la corruzione e, soprattutto, la
presenza simultanea di terrorismo di varie estrazioni e della
criminalità.
Qualcuno ha detto che ci vorrebbe un "Mandela per
l'Afghanistan", altri un Piano Marshall e imprenditori di altissimo
livello per cambiare lo status quo. Sono idee e teorie interessanti, ma
vanno sempre adattate alla realtà. Chi ha letto il libro "The Great
Game" di Peter Hopkirk, ben comprende il perché della complessità di
questa terra.
Ho conosciuto personalmente alcuni giovani leader
afgani, che hanno idee innovative e sono ottimisti. Col tempo potranno
trasformare questo Paese, se avranno reali capacità operative e una
chiara visione dell'avvenire della loro terra. E poi ci sono le nuove
generazioni (l'età media della popolazione è di 20 anni) che spingono
per un futuro diverso. Questo Paese ha bisogno di trovare una sua
identità e di sollevarsi dal baratro. L'Afghanistan, poi, è una terra
ricca di bellezze naturali straordinarie. Da Alpino, non posso non
ammirare le montagne dell'Hindu Kush quando, in occasione dei nostri
viaggi in aereo o in elicottero, possiamo guardarle da lontano. Il sogno
è che un giorno divengano accessibili a tutti gli appassionati. Per non
parlare dei siti archeologici: la loro valorizzazione potrebbe
costituire un investimento in tutti i sensi.
E se la NATO se ne andasse, cosa accadrebbe?
I
29 Paesi membri dell'Alleanza hanno da poco confermato il loro supporto
fino al 2024. Un chiaro segno di continuità e di impegno serio e,
appunto, "risoluto". A me non piacciono le domande ipotetiche, ma le
risponderò con una metafora. Provi a pensare ad una persona che comincia
a camminare sulle proprie gambe, con l'aiuto di una stampella: lei
improvvisamente gliela toglie e le dice "Ora fai da solo". Le lascio
immaginare le conseguenze...In poco tempo, molto probabilmente, si
potrebbe tornare a una situazione ancora peggiore rispetto a quella
iniziale, che vanificherebbe anni di sforzi e anche il sacrificio di
tanti militari (nostri, della coalizione e afghani). Aggiungo che ho
potuto riscontrare quanto la presenza occidentale sia percepita
positivamente, soprattutto adesso, dalla popolazione. Ma è chiaro a
tutti che il futuro dell'Afghanistan è e deve restare nelle mani degli
afghani.
Cosa l'ha colpita maggiormente, in negativo, di questa esperienza?
La
violenza indiscriminata, cieca, contro gli studenti di una scuola,
rivolta a colpire non soltanto giovani innocenti, ma anche l'idea di
futuro e progresso. Immagini questa scena: i suoi figli sono a scuola,
entusiasti, pensano al futuro e lei aspetta con ansia il loro rientro a
casa. Ma non rientreranno più. Qualcuno li ha fatti saltare in aria e
non si trovano che i loro poveri resti. L'orrore... la negazione di
tutto, dell'idea stessa della vita e delle conquiste del genere umano.
C'è chi vive per uccidere. Anche questo accade in Afghanistan, è
avvenuto lo scorso mese di agosto e risponde a un'assurda ideologia:
l'annientamento dell'essere umano attraverso il terrore. Colpire una
scuola sfugge ad ogni logica. Non si può restare indifferenti, né
lasciare che questa terra diventi il covo indisturbato di terroristi.
Noi addestriamo le Forze di Sicurezza afghane anche perché episodi come
questo non accadano più.
E cosa l'ha invece colpita in positivo?
Mi
hanno colpito il valore, il sacrificio e la "resilienza" dei soldati
afghani che si battono quotidianamente per la loro terra.
L'Esercito
migliora, anche grazie ad importanti riforme di rinnovamento
generazionale e di sviluppo della leadership. Crescono le loro Forze
Speciali e anche l'Aeronautica fa progressi importanti. Ci vorranno
tempo, costanza e pazienza, ma il coraggio che dimostrano
quotidianamente è straordinario. Combattono e muoiono per il loro Paese.
Poi, mi hanno stupito la forza morale e la fede di alcune suore, a
Kabul, che coraggiosamente e ostinatamente continuano ad assistere i
bambini più bisognosi abbandonati dalle famiglie. C'è un'associazione
italiana, qui, che fa autentici miracoli.
Cosa dicono di noi italiani i comandanti alleati?
In
oltre 4 mesi di missione ho avuto modo, più volte, di verificare
personalmente la grande considerazione che i comandanti della Coalizione
hanno per noi. Non è una novità, ho potuto attestarlo anche in
operazioni precedenti. Ma dove mi trovo l'osservatorio è talmente
privilegiato che ti accorgi se i complimenti sono di circostanza o
corrispondono a reali capacità e risultati. Non è stato per caso che il
generale Nicholson, prima di andarsene, sia voluto passare a salutarci.
Non è un caso se il generale Miller, suo successore, ha voluto
commemorare la data dell'11 settembre - una ferita sempre dolorosamente
aperta per gli amici americani - a Herat, insieme al nostro Contingente,
e che sia rimasto colpito dalle parole del nostro ministro della
Difesa. Non è casuale, credo, che il Generale Dunford, capo di stato
maggiore della Difesa americano, al termine della cerimonia settimanale
in onore ai Caduti, mi abbia chiesto di poter salutare il nostro
Contingente di Kabul, ricordandoci cosa rappresenta la nostra presenza
in questa terra. Per non parlare del segretario alla Difesa Mattis e
della presidente della Croazia, che mi hanno pregato di salutare
sinceramente tutti i nostri militari.
Mi creda, non sono attestati
casuali o di circostanza. Le nostre Forze Armate, in tutti questi anni,
hanno indiscutibilmente saputo realizzare qualcosa di straordinario e i
risultati sono così evidenti che non possono essere taciuti Un capitolo
decisamente positivo, nella storia di un Paese il cui passato è intriso
di tragedie e tristezza. Il Tricolore che sventola a Herat e a Kabul è
parte dell'Afghanistan e della storia di questo Paese martoriato.
Cosa apprezzano degli italiani i nostri partner?
Credo
sia quel mix di professionalità e di flessibilità (ovvero la capacità
di adattamento ad ogni situazione), unitamente alla consueta generosità.
Per quanto riguarda la professionalità, è certamente il risultato del
lavoro svolto pazientemente, negli anni, dallo stato maggiore Difesa e
dagli stati maggiori di Forza Armata, che hanno puntato molto sulla
modernizzazione dello strumento militare. La partecipazione costante ad
operazioni come questa - un vero banco di prova per i nostri ufficiali,
sottufficiali e graduati a tutti i livelli - ha contribuito decisamente
al conseguimento di questo risultato.
I nostri comandanti che si sono
alternati negli anni, a Herat come a Kabul, a detta dei nostri alleati,
hanno dimostrato leadership e grande affidabilità.
Sull'altro
aspetto, la flessibilità e la generosità, credo si tratti di qualità
tipicamente italiane: l'adattabilità a situazioni nuove, la capacità di
apprendere, il saper trovare sempre soluzioni creative ed efficaci,
anche in carenza di risorse. Ci viene riconosciuta anche l'arte di
mediare e di riuscire a mettere intorno ad un tavolo interlocutori
locali non sempre facili e farli dialogare. Questo fa parte del nostro
patrimonio genetico-professionale.
Come si vive a Kabul, in questo ambiente, sotto minaccia di attacchi?
Siamo
consapevoli dei rischi e adottiamo tutte le precauzioni e
predisposizioni previste. Siamo soldati, fa parte del nostro mestiere.
L'ambiente
di lavoro, poi, è stimolante, ogni giorno è una sfida nuova a cercare
il modo migliore di supportare efficacemente gli afghani.
Gli
italiani del Quartier Generale - di tutte le Forze Armate - sono
impiegati in diverse discipline: logistica, sistemi di comunicazione
operativi, sicurezza, sviluppo dell'Esercito, della Polizia e
dell'Aviazione afghane, pianificazione, stabilizzazione, Comunicazione
Strategica, relazioni con le Forze Armate pakistane, oltre allo sviluppo
di progetti e procedure medico-sanitarie per addestrare i militari
afghani ad assistere i feriti in combattimento.
Come è lavorare in un ambiente così multinazionale?
La multinazionalità, secondo me, è il vero valore aggiunto di questa missione.
Ferma
restando la prevalenza della componente statunitense, la presenza di
rappresentanti qualificati - a tutti i livelli - di così tante nazioni, è
un continuo stimolo all'apprendimento di culture e procedure diverse.
Ho alle mie dipendenze dirette un generale e 6 colonnelli americani,
oltre a 2 olandesi. Ma all'interno delle rispettive branche ho anche
personale (militare e civile) inglese, macedone, georgiano, bulgaro,
croato, tedesco, ceco, slovacco, turco, greco, belga, portoghese,
spagnolo, polacco, ucraino, rumeno, australiano, bosniaco, estone,
lettone e lituano. Una ricchezza inestimabile in termini di cultura
professionale e umana.
È un continuo esercizio all'ascolto dell'altro
e - direi - al rispetto reciproco. Lavorare in operazioni in un
ambiente internazionale e multinazionale è uno stimolo a dare il meglio
di sé (perché rappresenti la tua Nazione) e, nello stesso tempo, ti
obbliga a rapportarti nel modo migliore con l'altro, tutti uniti
dall'obiettivo di portare a termine la nostra comune missione. Come
recita il motto "Many Nations, One Mission".
E non esistono problemi?
I
problemi riguardano esclusivamente la complessità delle attività che
sviluppiamo, non il funzionamento interno. Al contrario, è la nostra
diversità a far sì che si trovino sempre soluzioni diverse e ragionate.
C'è un clima di grande collaborazione.
Il fatto poi di utilizzare
l'inglese quale lingua di lavoro obbliga tutti ad attenersi ad un
linguaggio tecnico, essenziale, eliminando il superfluo.
Al di fuori
delle relazioni lavorative, inoltre, abbiamo organizzato corsi di lingua
inglese per chi vuole perfezionarla. E anche ideato corsi di Italiano
per gli stranieri con oltre 50 adesioni. Senza contare quanto di buono
emerge dallo scambio di esperienze e dall'osservazione degli altri
contingenti.
Quale iniziativa delle Forze Armate straniere le è piaciuta particolarmente?
Da
anni negli USA, in Gran Bretagna, in Germania, esiste un canale
televisivo nazionale dedicato ai militari e anche alle tematiche legate
alla Difesa. Da un lato questo servizio pubblico dà supporto,
informazione e visibilità ai militari in missione, dall'altro
contribuisce ad accrescere la cultura della sicurezza nei cittadini. Non
è cosa da poco. Le nostre Forze Armate hanno fatto progressi
straordinari nella comunicazione istituzionale. Un canale televisivo
completerebbe in modo efficacissimo l'informazione sui temi della
Difesa. La sicurezza è un bene supremo e comune per ogni Stato: educare
alla sicurezza è importante. E la televisione è il mezzo di
comunicazione per eccellenza.
L'immagine della Missione che le resta più impressa?
Il
momento di raccoglimento, tutti i venerdì mattina, di fronte alle
Bandiere e al monumento ai Caduti: è l'immagine del senso
dell'Onore. .... (da FB Meinero Max Massimo)

ITALIANO RICORDA....
10 OTTOBRE 1916 - PRIMA GUERRA MONDIALE - 8A BATTAGLIA DELL'ISONZO (10 - 12 OTTOBRE 1916) - 1° GIORNO
L'ottava battaglia dell'ISONZO è un evento della prima guerra mondiale: l'offensiva italiana iniziò tra il 10 e il 12 ottobre 1916 nella zone di DOBERDÒ, a est di MONFALCONE.
1° giorno dell'offensiva italiana.
Il 10 ottobre 1916, dopo il consueto bombardamento distruttivo, l'Esercito Italiano uscì dalle trincee e attaccò il nemico. A sera sul CARSO in alcuni punti gli italiani erano riusciti ad oltrepassare le posizioni austriache di poche centinaia di metri, poi le truppe erano state costrette a fermarsi sotto il fuoco nemico.
Lungo il FIUME VIPACCO erano stati conquistati dei tratti della prima linea nemica, senza poter andare oltre.

ITALIANO RICORDA.....
10 OTTOBRE 732 DC - BATTAGLIA DI POITIERS - I MUSULMANI VENGONO SCONFITTI DAI FRANCHI
Nei pressi di POITIERS, in FRANCIA, il capo dei Franchi, Carlo
Martello, e i suoi uomini, sconfiggono per la prima volta nell'Europa
occidentale un'armata di Mori, seppur di dimensioni modeste.
Il governatore di CORDOVA, Abd-ar-Rahman, rimane ucciso in battaglia.
La battaglia di POITIERS o battaglia di TOURS fu combattuta il 10 di
ottobre del 732 tra l'esercito arabo-berbero musulmano di al-Andalus,
comandato dal suo governatore Abd al-Raḥmān e quello dei Franchi di
Carlo Martello, maggiordomo di palazzo (equivalente a capo
dell'esecutivo e dell'esercito) dei re merovingi.
Il governatore
arabo si era spinto, attraverso l'AQUITANIA, verso BORDEAUX e puntava in
direzione della città di TOURS e della sua ricca basilica, dedicata a
MARTINO DI TOURS, per depredarla.
Non è escluso che, in mancanza di
reazioni, la razzia si sarebbe potuta trasformare in ulteriore avanzata
e in un'azione di conquista.
Eudes (Oddone), duca della marca
d'AQUITANIA, che in precedenza aveva avuto utili intese coi musulmani e
pessime invece con Carlo, tentò di arrestare il passaggio dell'esercito
musulmano ma fu sconfitto nella BATTAGLIA DELLA GARONNA.
Fu allora
costretto a chiedere suo malgrado l'intervento del potente maggiordomo
di AUSTRASIA e Carlo si presentò con un composito esercito,
essenzialmente composto da Franchi, con forti presenze di Gallo-latini e
Borgognoni e con minori aliquote di Alemanni, di abitanti dell'attuale
ASSIA e FRANCONIA, di Bavari, di genti della FORESTA NERA, di volontari
Sassoni e, forse, di Gepidi e di cavalleria leggera visigota, con
imprecisabili quantità di contingenti composti da altre popolazioni
germaniche. Tanto poco Carlo era preoccupato che non proclamò alcuna
mobilitazione generale (lantweri), limitandosi a un semplice bannum
(mobilitazione parziale).
Carlo Martello accettò di venire in
soccorso di Oddone a patto che a lui spettasse il comando supremo
dell'esercito coalizzato, il che venne ufficializzato con un solenne
giuramento sulle reliquie dei santi conservati nella cattedrale di
REIMS. Il piano di Carlo Martello era quello di schierare la fanteria
pesante franca alla confluenza di due fiumi in modo che fosse protetto
sui fianchi dai corsi d'acqua contro i quali non era possibile un'azione
decisiva della cavalleria nemica.
La fanteria di prima linea era
composta soprattutto da uomini armati della tradizionale ascia (la
francisca), mentre in seconda linea erano schierati fanti armati di
picche e giavellotti, in modo che ai fanti armati di ascia toccasse il
compito di tenere il corpo a corpo con la fanteria leggera musulmana e
ai fanti armati di picche e di lance quello di tener a debita distanza
la cavalleria avversaria.
La cavalleria di Oddone era invece
mimetizzata in un bosco con un duplice incarico, di intervenire al
momento concordato per depredare il campo musulmano sguarnito e per
attaccare il fianco destro della formazione avversaria una volta che
questo si fosse sbilanciato per eliminare la seconda fila dei fanti
franchi.
L'esercito cristiano attese pertanto il nemico in una
compatta formazione quadrata in mezzo alla confluenza di due fiumi, il
CLAIN e il VIENNE, forte di una posizione naturale pressoché
inespugnabile, schierandosi in un'unica formazione, robusta e profonda,
formata da una prima linea nella quale si era disposta la fanteria
pesante intervallata da piccoli reparti di cavalleria. Altri cavalieri
si erano posizionati sui lati esterni della seconda linea, lasciando il
vuoto nella parte centrale per evitare improvvisi aggiramenti. Inoltre
alla sinistra dello schieramento, molto arretrato e nascosto in un
bosco, vi era Oddone I d'Aquitania (Eude) insieme alla sua cavalleria,
pronto ad attaccare in ambo le direzioni.
I musulmani invece si
schierarono nel seguente modo: l'ala sinistra era formata da cavalleria
leggera e si «appoggiava» al fiume CLAIN; la parte centrale, composta
interamente da fanti ed arcieri, si era posizionata sull'antica via
romana, mentre l'ala destra del fronte musulmano era schierata su una
bassa collina. Dietro ad ognuna delle due ali vi erano due schieramenti
di dromedari da trasporto: gli Arabo-Berberi infatti sapevano che
l'odore pungente di questi animali poteva far imbizzarrire i cavalli dei
Franchi smobilitandone le schiere. La formazione iniziale era quella
tipica a forma di mezzaluna, con le cavallerie un po' avanzate rispetto
alle fanterie e disposte a tenaglia allo scopo di stringere il nemico
sulle ali e accerchiarlo.
Dopo che gli eserciti si furono
fronteggiati, addirittura per una settimana, cominciò la vera e propria
mischia, dall'alba al tramonto: i musulmani si lanciarono all'attacco
per primi facendo partire le cavallerie dei Berberi che investirono i
fanti cristiani con una vera e propria pioggia di giavellotti,
concentrando ripetuti assalti nelle zone del fronte avversario dove
credevano possibile l'apertura di un varco.
La linea di condotta di
Carlo Martello fu quella di non cadere nella trappola della tattica
musulmana dell'attacco seguito da una programmata ritirata, mirante ad
illudere l'avversario dell'imminenza di una facile vittoria e di un
ancor più facile bottino, per poi portare un improvviso e inatteso nuovo
attacco. Ordinò dunque che i suoi guerrieri attendessero l'attacco
senza altra reazione che non fosse quella del momentaneo eventuale corpo
a corpo, impartendo severe disposizioni affinché i suoi uomini non
cadessero nella tentazione dell'inseguimento del nemico in apparente
fuga.
Il suo «muro di ghiaccio» resse splendidamente, forte anche
della scarsa velocità delle sue cavalcature europee che s'accompagnava
però a una loro maggior solidità, a fronte dell'agilità della
cavalcature arabo-berbere, ma d'una loro scarsa resistenza e d'una minor
mole. L'espediente del diversivo sul campo musulmano fu decisivo per
far retrocedere parte della cavalleria nemica all'inseguimento di quella
aquitana lasciando così senz'alcuna copertura gli arcieri nemici che
vennero letteralmente massacrati dalla fanteria franca. Quando gran
parte della cavalleria dei musulmani era ormai persa contro gli scudi,
ma soprattutto contro le picche dei fanti cristiani, Carlo Martello
diede un segnale che fece sbucare, dal bosco in cui era nascosta, la
cavalleria di Ottone che caricò il fianco destro dei musulmani
travolgendolo e mettendolo in fuga.
Nel frattempo cominciava
l'avanzata compatta della fanteria che, abbandonate le posizioni di
partenza, travolse tutto ciò che le si poneva di fronte.
I fanti
musulmani, privi di corazzatura, non potevano reggere il corpo a corpo
con i robusti guerrieri del nord, pesantemente armati. Dallo scontro si
passò quindi alla carneficina, che durò fino al tramonto quando anche
Abd al-Raḥmān venne ucciso da un colpo d'ascia. Quando si sparse questa
notizia gli Arabo-Berberi sopravvissuti scapparono rapidamente,
lasciando sul terreno feriti e tende, ma soprattutto il bottino
conquistato durante tutte le razzie in AQUITANIA.
La battaglia sul
breve termine non fu determinante, in quanto i franchi, l'indomani,
scoprirono che i musulmani si erano ritirati col favore delle tenebre.
Anche da un punto di vista tattico, il risultato fu abbastanza
contenuto, dal momento che la minaccia musulmana non era stata fermata -
tant'è che un decennio dopo, gli Arabi conquisteranno le città
provenzali di AVIGNONE ed ARLES (744 d.C.), anche se mai più
ritorneranno tanto a nord - e i musulmani di SPAGNA erano in grado di
armare un altro esercito in tempi assai brevi.
Invece, sotto un
profilo strategico essa fu decisamente di grande portata, più che per
aver fatto fallire il piano delle forze musulmane per aver invece
fornito il destro a Carlo Martello di gettare le prime basi di un
ambizioso futuro imperiale per sé e la sua casata che sarebbe stato poi
portato a pieno compimento dal nipote Carlo Magno.
La battaglia di
POITIERS in effetti non ha l'importanza che le si attribuisce perché
segna la fine di un'incursione ma in realtà non arresta nulla.
I musulmani, infatti, proseguiranno le loro devastanti scorrerie negli anni immediatamente successivi.
Va detto però che molti storici dell'Ottocento e della prima metà del
Novecento confermavano l'importanza tradizionalmente attribuita alla
battaglia. Infatti poche battaglie sono ricordate 1000 anni dopo esser
state combattute ma la Battaglia di POITIERS è un'eccezione. Carlo
Martello fece ritornare indietro un'avanzata musulmana che avrebbe
potuto conquistare la GALLIA, se le fosse stato concesso di continuare.
Negli ambienti cristiani della Penisola iberica, già in buona parte
occupata da Berberi e Saraceni, la battaglia fu percepita come un evento
carico di un forte significato simbolico, per il quale l'Occidente
cristiano ritenne di aver fermato l'espansione araba. Proprio nel
descrivere questa battaglia, pochi anni dopo, il monaco lusitano Isidoro
Pacense nelle sue Cronache, usa per la prima volta l'aggettivo
«EUROPEI» per attribuire un'identità collettiva ai guerrieri che, per la
prima volta, avevano fermato gli invasori musulmani. (da Meinero Max Massimo)

ex Allievi in evidenza: ROMA. IL GENERALE FALSAPERNA SUBENTRA AL GENERALE MAGRASSI COME SEGRETARIO GENERALE DELLA DIFESA E DIRETTORE NAZIONALE DEGLI ARMAMENTI (SEGREDIFESA)
Si è svolta questa mattina, alla presenza del Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, la cerimonia di avvicendamento nella carica di Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli Armamenti (Segredifesa): il Generale Falsaperna subentra al Generale Magrassi
Cambio al vertice di Segredifesa. Questa mattina - a Palazzo Guidoni alla presenza del Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta - si è svolta la cerimonia che ha sancito il passaggio di consegne tra il Generale di Squadra Aerea, Carlo Magrassi, e il Generale di Corpo d'Armata, Nicolò Falsaperna.
Cerimonia alla quale è intervenuto il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Claudio Graziano. Presenti, tra gli altri, i Sottosegretari alla Difesa, Raffaele Volpi e Angelo Tofalo, i Vertici delle Forze armate.
Al Generale Magrassi, che oggi lascia il servizio attivo, il Ministro Trenta ha espresso il suo ringraziamento "per l'equilibrio, la competenza, la solidità che hanno contraddistinto la sua azione in una fase delicata del suo mandato, in cui ha saputo confrontarsi con coerenza e professionalità con le nuove scelte del Governo della Repubblica".
Al nuovo Segretario Generale della Difesa/DNA,
la titolare del Dicastero ha rivolto, invece, i più sinceri auguri di
buon lavoro: "La sua nomina è il giusto riconoscimento per il suo
eccezionale percorso professionale, non ultimo quale Vice Segretario
Generale della Difesa e Vice Direttore Nazionale Armamenti".
Nel suo
intervento, il Ministro Trenta ha sottolineato il ruolo fondamentale del
Segretariato Generale nel settore dell'industria della Difesa che oggi
rappresenta un asset strategico del Sistema Paese, che contribuisce al
posizionamento economico, alla produttività e redditività, nonché alla
percepita "potenza" dell'Italia come capacità di protezione degli
interessi vitali e di influenza sugli attori internazionali.
Segredifesa
è, infatti, "in prima linea nel sostenere la ricerca, lo sviluppo
tecnologico e l'innovazione al fine di garantire il pieno
soddisfacimento delle esigenze delle nostre Forze armate".
Basilare,
per il Ministro Trenta, attuare un ammodernamento della Forze Armate
"sempre più in sinergia con il Sistema Paese, per creare lo sviluppo
necessario e aprire nuove realtà occupazionali".
"La rivisitazione
della spesa per ridurre gli sprechi di risorse sarà necessaria" ha
detto, evidenziando come "la diffusione nell'Industria della Difesa del
paradigma del 'Multipurpose-By-Design' per lo sviluppo di capacità
militari a molteplice scopo sarà una necessità imprescindibile".
m.r.e.f..... a entrambi il nostro fraterno in bocca al lupo ...
(Da Meinero Max Massimo)

ITALIANO RICORDA....
9 OTTOBRE 1963 - DISASTRO DEL VAJONT - UNA COLOSSALE FRANA CADE
NELL'INVASO ARTIFICIALE DEL BACINO IDROELETTRICO SUL TORRENTE VAJONT E
PRODUCE UN'ONDA CHE SI ABBATTE SUGLI ABITATI NELLA VALLE SOTTOSTANTE
PORTANDO ALLA LORO COMPLETA DISTRUZIONE E ALLA MORTE DI 1.910 PERSONE.
Il disastro del VAJONT è stato un disastro ambientale ed umano, occorso la sera del 9 ottobre 1963 nel
neo-bacino idroelettrico artificiale del TORRENTE VAJONT (al confine
tra FRIULI e VENETO), dovuto alla caduta di una colossale frana dal
soprastante pendio del MONTE TOC nelle acque del sottostante e omonimo
bacino lacustre alpino realizzato con l'omonima diga.
La
conseguente tracimazione dell'acqua contenuta nell'invaso, con effetto
di dilavamento delle sponde del lago, coinvolse prima ERTO e CASSO,
abitati geograficamente vicini alla riva del lago dopo la costruzione
della diga, mentre il superamento della diga da parte dell'onda generata
provocò l'inondazione e la distruzione degli abitati del fondovalle
veneto, tra cui LONGARONE, e la morte di ben 1.910 persone.
Le cause
della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di
letteratura, furono ricondotte alla negligenza dei progettisti e della
SADE, ente gestore dell'opera fino alla nazionalizzazione elettrica, i
quali occultarono e coprirono la non idoneità dei versanti del bacino:
dopo la costruzione della diga si scoprì, infatti, che essi avevano
caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non
renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico.
Nel corso degli anni l'ente gestore e i loro dirigenti, pur a conoscenza
della pericolosità, peraltro supposta inferiore a quella effettivamente
rivelatasi, coprirono con dolosità i dati a loro conoscenza, con
beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli
comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici.
Alle ore
22.39 del 9 ottobre 1963, circa 260 milioni di m³ di roccia (un volume
più che doppio rispetto a quello dell'acqua contenuta nell'invaso)
scivolarono, alla velocità di 30 m/s (108 km/h), nel bacino artificiale
sottostante (che conteneva circa 115 milioni di m³ d'acqua al momento
del disastro) creato dalla diga del Vajont, provocando un'onda di piena
tricuspide che superò di 250 m in altezza il coronamento della diga e
che in parte risalì il versante opposto distruggendo tutti gli abitati
lungo le sponde del lago nel comune di Erto e Casso, in parte (circa
25-30 milioni di m³) scavalcò il manufatto (che rimase sostanzialmente
intatto, subendo forze 20 volte superiori a quelle per il quale era
stato progettato, seppur privato della strada carrozzabile posta nella
parte sommitale) e si riversò nella valle del Piave, distruggendo quasi
completamente il paese di Longarone e i comuni limitrofi, e in parte
ricadde sulla frana stessa (creando un laghetto).
Vi furono 1.917
vittime di cui 1.450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a
Erto e Casso e 200 originarie di altri comuni.
Lungo le sponde del
lago del Vajont vennero distrutti i borghi di Frasègn, Le Spesse, Il
Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, e la parte bassa
dell'abitato di Erto.
Nella valle del Piave vennero rasi al suolo i
paesi di Longarone, Pirago, Faè, Villanova, Rivalta, e risultarono
profondamente danneggiati gli abitati di Codissago, Castellavazzo,
Fortogna, Dogna e Provagna. Vi furono danni anche nei comuni di
Soverzene, Ponte nelle Alpi, nella città di Belluno a Borgo Piave, e nel
comune di Quero Vas, nella borgata di Caorera dove il Piave, ingrossato
dall'onda allagò il paese e raggiunse il presbiterio della chiesa.
L'evento fu dovuto a una serie di cause, di cui l'ultima in ordine
cronologico fu l'innalzamento delle acque del lago artificiale oltre la
quota di sicurezza di 700 metri voluto dall'ente gestore, operazione
effettuata ufficialmente per il collaudo dell'impianto, ma con il
plausibile fine di far avvenire la caduta della frana all'interno
dell'invaso in maniera controllata, in modo che non costituisse più
pericolo. Questo fatto, combinato a una situazione di abbondanti e
sfavorevoli condizioni meteo (forti precipitazioni) e a forti negligenze
nella gestione dei possibili pericoli dovuti al particolare assetto
idrogeologico del versante del monte Toc, accelerò il movimento della
antica frana presente sul versante settentrionale del monte Toc, situato
sul confine tra le province di Belluno (Veneto) e Pordenone
(Friuli-Venezia Giulia). I modelli usati per prevedere le modalità
dell'evento si rivelarono comunque errati, in quanto si basarono su una
velocità di scivolamento della frana nell'invaso fortemente
sottostimata, pari a un terzo di quella effettiva.
Invece, alle
22,39 del 9 ottobre 1963, si staccò dalla costa del Monte Toc (notare
che il nome di tale monte, in friulano, è l'abbreviazione di "patoc",
che significa "marcio", "fradicio") una frana lunga 2 km di oltre 270
milioni di metri cubi di rocce e terra.
In circa 20 secondi la frana arrivò a valle, generando una scossa sismica e riempiendo il bacino artificiale.
L'impatto con l'acqua generò tre onde:
• una si diresse verso l'alto, lambì le abitazioni di Casso, ricadde
sulla frana e andò a scavare il bacino del laghetto di Massalezza;
•
un'altra si diresse verso le sponde del lago e, attraverso un'azione di
dilavamento delle stesse, distrusse alcune località nel comune di Erto e
Casso;
• e la terza (di circa 50 milioni di metri cubi di acqua)
scavalcò il ciglio della diga, che rimase intatta ad eccezione del
coronamento percorso dalla strada di circonvallazione che conduceva al
versante sinistro del Vajont, e precipitò nella stretta valle
sottostante.
I circa 25 milioni di metri cubi d'acqua che riuscirono
a scavalcare l'opera raggiunsero il greto sassoso della valle del Piave
e asportarono consistenti detriti, che si riversarono sul settore
meridionale di Longarone causando la quasi completa distruzione della
cittadina (si salvarono solo il municipio e le case poste a nord di
esso) e di altri nuclei limitrofi, e la morte, nel complesso, di 1.917
persone.
È stato stimato che l'onda d'urto dovuta allo spostamento
d'aria fosse di intensità uguale, se non addirittura superiore, a quella
generata dalla bomba atomica sganciata su Hiroshima.
I pompieri
partiti da Belluno, dopo aver ricevuto segnalazioni circa l'innalzamento
del livello del Piave, non poterono raggiungere il luogo, poiché da un
certo punto in poi la strada, provenendo da valle, era stata
completamente distrutta; Longarone fu raggiunta allora dai pompieri
partiti da Pieve di Cadore, che furono i primi a rendersi conto di cosa
fosse accaduto e poterlo comunicare.
Alle ore 5:30 della mattina
del 10 ottobre 1963 i primi militari dell'Esercito Italiano arrivarono
sul luogo per portare soccorso e recuperare i morti. Tra i militari
intervenuti vi erano soprattutto Alpini e Genieri che scavarono anche a
mani nude per cercare i corpi dei dispersi.
Anche i Vigili del Fuoco provenienti da 46 Comandi Provinciali parteciparono in massa ai soccorsi.
Dei circa 2.000 morti, sono stati recuperati e ricomposti sommariamente
solo 1.500 cadaveri, alla metà dei quali non è mai stato possibile dare
un nome. Nel disastro morirono 487 bambini. Tra le vittime del disastro
anche 64 persone dipendenti dell'Enel e delle imprese Monti e Consonda
Icos, impegnate nel completamento della diga e delle opere di servizio.
La mattina immediatamente dopo la sciagura la macchina dei soccorsi si mise in moto.
Da tutto il Friuli e Veneto vennero inviati sul luogo militari
dell'Esercito Italiano, Vigili del Fuoco; assieme anche al unità delle
Esercito USA di stanza ad Aviano e Vicenza che, con l'utilizzo degli
elicotteri, consentirono un più celere spostamento dei sopravvissuti nei
villaggi isolati di Erto e Casso. (da Meinero Max Massimo in FB)

7 OTTOBRE 1571 - BATTAGLIA DI LEPANTO (GOLFO DI CORINTO)
La battaglia di LEPANTO, detta anche battaglia delle ECHINADI o CURZOLARI, fu uno scontro navale avvenuto domenica 7 ottobre 1571, nel corso della GUERRA DI CIPRO, tra le flotte musulmane dell'Impero ottomano e quelle cristiane (federate sotto le insegne pontificie) della Lega Santa che riuniva le forze navali della Repubblica di Venezia, dell'Impero spagnolo (con il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia), dello Stato Pontificio, della Repubblica di Genova, dei Cavalieri di Malta, del Ducato di Savoia, del Granducato di Toscana, del Ducato di Urbino, della Repubblica di Lucca (che partecipò all'armamento delle galee genovesi), del Ducato di Ferrara e del Ducato di Mantova.
La battaglia si concluse con una schiacciante vittoria
delle forze alleate cristiane, guidate da Don Giovanni d'Austria, su
quelle ottomane di Müezzinzade Alì Pascià, che perse la vita nello
scontro.
La coalizione cristiana era stata promossa da Papa Pio V
per soccorrere materialmente la veneziana città di FAMAGOSTA, sull'isola
di CIPRO, assediata dai turchi e strenuamente difesa dalla guarnigione
locale comandata da Marcantonio Bragadin e Astorre II Baglioni.
L'isola, già possedimento bizantino, faceva parte del dominio di VENEZIA
dal 1480 e per essa veniva pagato ai turchi un tributo annuo di 8.000
ducati. Nonostante questo il Sultano si sentì legittimato a rivendicare
il controllo di CIPRO. Il contesto era quello di una lotta per il
controllo del MEDITERRANEO.
Papa Pio V ritenne che il momento fosse
propizio per coalizzare in una Lega Santa le troppo divise forze della
cristianità, alimentando lo spirito di Crociata per creare coesione
intorno all'iniziativa.
Come base di ricongiungimento dell'armata
cristiana era stata scelta MESSINA, situata in posizione strategica
rispetto al teatro delle operazioni.
Ai primi di settembre, la
flotta della Lega era riunita nel porto siciliano: al comando di Don
Giovanni erano 209 galere (di cui 203 o 204 avrebbero preso parte alla
battaglia) e 6 galeazze veneziane, oltre ai trasporti e al naviglio
minore.
Il 1 agosto FAMAGOSTA si era arresa. Nonostante un iniziale
accordo di pace tra ottomani e veneziani, per disaccordi sorti
successivamente tra Bragadin e Mustafà, quest'ultimo fece imprigionare i
veneziani sulle galere turche e fece decapitare i capitani al seguito
di Bragadin e infine quest'ultimo, dopo una serie di torture, fu
scorticato vivo.
Apprese dunque le notizie di FAMAGOSTA e
nonostante il maltempo, le navi della Lega presero il mare e giunsero,
il 6 ottobre davanti al GOLFO di PATRASSO, nella speranza di
intercettare la potente flotta ottomana.
Si noti che i principali
Stati d'Italia e le più grandi potenze europee dell'epoca, come ad
esempio la SPAGNA, avevano dovuto coalizzarsi per poter sperare di
battere l'Impero ottomano, allora all'apice della sua potenza.
Il 7
ottobre 1571, domenica, Don Giovanni d'Austria fece schierare le
proprie navi in formazione serrata, deciso a dar battaglia: le distanze
erano così ridotte che non più di 150 metri separavano le galee. La
flotta della Lega Santa era divisa in 4 parti, Corno destro, Corno
sinistro, la parte centrale o Battaglia e la riserva o Soccorso.
In
totale, la Lega Santa schierò in battaglia una flotta di 6 galeazze e
circa 204 galere. A bordo erano imbarcati non meno di 36.000
combattenti. A questi si aggiungevano circa 30.000 galeotti sferrati,
ovvero tutti i rematori, schiavi esclusi, cui venivano distribuite spade
e corazze per prendere parte alla mischia sui ponti delle galere.
Quanto all'artiglieria, la flotta cristiana schierava,
approssimativamente, 350 pezzi di calibro medio-grande (da 14 a 120
libbre) e 2.750 di piccolo calibro (da 12 libbre in giù).
La flotta
turca schierata a LEPANTO, reduce dalla campagna navale che l'aveva
impegnata durante l'estate, era verosimilmente forte di 170-180 galere e
20 o 30 galeotte, cui si aggiungeva un imprecisato numero di fuste e
brigantini corsari. La forza combattente, comprensiva di giannizzeri (in
numero tra 2.500 e 4.500), spahi e marinai, ammontava a circa 20-25.000
uomini.
I turchi schieravano l'Ammiraglio Mehmet Shoraq, detto
Scirocco, all'ala destra, mentre il comandante supremo Müezzinzade Alì
Pascià (detto il Sultano) al centro conduceva la flotta a bordo della
sua ammiraglia Sultana, su cui sventolava il vessillo verde sul quale
era stato scritto 28.900 volte a caratteri d'oro il nome di Allah.
Infine l'Ammiraglio, considerato il migliore comandante ottomano, Uluč
Alì, un apostata di origini calabresi convertito all'Islam, presiedeva
all'ala sinistra; le navi schierate nelle retrovie erano comandate da
Murad Dragut.
Don Giovanni decise di lasciare isolate in
avanti, come esca, le 6 potentissime galeazze veneziane, che per prime
aprono il fuoco. Essendo le galeazze difficilmente abbordabili, sia per
la loro notevole altezza e sia per i cannoni disposti a prora, lungo i
fianchi e a poppa. La potenza di fuoco delle galeazze si dimostrò
devastante, con l'affondamento/danneggiamento
di circa 70 navi e distruzione dello schieramento iniziale della flotta
ottomana. Con il vento a favore e producendo un rumore assordante di
timpani, tamburi e flauti gli ottomani cominciarono l'assalto alle navi
della Lega cristiana che erano invece nel più assoluto silenzio.
Improvvisamente, intorno alle ore 12, il vento cambiò direzione: le vele
dei turchi si afflosciarono e quelle dei cristiani si gonfiarono.
Quando i legni giunsero a tiro di cannone delle galeazze i cristiani
ammainarono tutte le loro bandiere e Don Giovanni innalzò lo stendardo
di Lepanto con l'immagine del Redentore crocifisso.
Una croce venne
levata su ogni galea e i combattenti ricevettero l'assoluzione secondo
l'indulgenza concessa da Papa Pio V per la crociata e i forzati liberati
dalle catene.
Alle quattro del pomeriggio, le navi ottomane rimaste
abbandonavano il campo, ritirandosi definitivamente. Il teatro della
battaglia si presentava come uno spettacolo apocalittico: relitti in
fiamme, galee ricoperte di sangue, morti o uomini agonizzanti. Erano
trascorse quasi cinque ore e il giorno volgeva ormai al tramonto quando
la battaglia ebbe termine con la vittoria cristiana.
Gli ottomani
avevano perso 80 galee che vennero affondate, ben 117 vennero catturate,
27 galeotte furono affondate e 13 catturate, inoltre 30.000 uomini
persi tra morti e feriti, altri 8.000 prigionieri.
Inoltre vennero
liberati 15.000 cristiani dalla schiavitù ai banchi dei remi. I
cristiani liberati dai remi sbarcarono a PORTO RECANATI e salirono in
processione alla Santa Casa di LORETO dove offrirono le loro catene alla
Madonna. Con queste catene furono costruite le cancellate davanti agli
altari delle cappelle.
Dopo LEPANTO la flotta turca evitò a lungo
di ingaggiare grandi battaglie, dedicandosi invece con successo alla
guerra di corsa e al disturbo dei traffici nemici.
Dopo LEPANTO gli
occidentali ebbero a disposizione migliaia di prigionieri che furono
messi ai remi assicurando, per diversi anni, un motore nuovo alle loro
galere.
Molti prigionieri ottomani, in particolare gli abilissimi e
addestratissimi arcieri e i carpentieri, furono uccisi dai veneziani,
sia per vendicare i prigionieri uccisi dai turchi in precedenti
occasioni, sia per impedire alla marineria turca di riprendersi
rapidamente. Quindi le navi della Lega Santa fecero rientro a NAPOLI. La
bandiera della nave ammiraglia turca di Alì Pascià, presa da due navi
dei Cavalieri di Santo Stefano, la "Capitana" e la "Grifona", si trova a
PISA, in quella che era la chiesa di quell'ordine.
Lo schieramento
cristiano vinse soprattutto grazie alla superiorità dell'equipaggiamento
(corazze) e delle armi da fuoco (cannoni e archibugi). Il vascello più
importante dello schieramento cristiano fu la galeazza veneziana. Come
già per la BATTAGLIA DI POITIERS e la futura BATTAGLIA DI VIENNA, la
battaglia di LEPANTO ebbe un profondo significato religioso.
Si
narra che il giorno stesso della battaglia Papa San Pio V ebbe in
visione l'annuncio della vittoria nell'ora di mezzogiorno e che, dopo
aver esclamato: "sono le 12, suonate le campane, abbiamo vinto a LEPANTO
per intercessione della Vergine Santissima". Da allora continua la
tradizione cattolica di sciogliere le campane di tutte le chiese alle 12
in punto.
La battaglia di LEPANTO fu la prima grande vittoria di
un'armata o flotta cristiana occidentale contro l'Impero ottomano. La
sua importanza fu perlopiù psicologica, dato che gli ottomani erano
stati per decenni in piena espansione territoriale e avevano
precedentemente vinto tutte le principali battaglie contro i cristiani
d'oriente. La vittoria dell'alleanza cristiana non segnò comunque una
vera e propria svolta nel processo di contenimento dell'espansionismo
turco. Gli ottomani riuscirono già nel periodo successivo a incrementare
i propri domini, strappando, fra l'altro, alcune isole, come CRETA, ai
veneziani. La parabola discendente vissuta dall'impero ottomano nel
corso del Seicento, riflette semmai una fase di declino che coinvolse
all'epoca tutti i Paesi affacciati nel BACINO DEL MEDITERRANEO in
seguito allo spostamento verso le rotte oceaniche dei grandi traffici
internazionali. In realtà più di un secolo dopo LEPANTO i turchi erano
ancora sotto le mura di VIENNA (1683), mentre VENEZIA dovette combattere
altre lunghe guerre con l'Impero ottomano, perdendo infine il controllo
su tutte le isole e i porti che possedeva in EGEO, eccettuate le ISOLE
IONIE.
La scarsa coesione tra i vincitori impedì alle forze alleate
di sfruttare appieno la vittoria per ottenere una supremazia duratura
sugli Ottomani. (da FB Meinero Max Massimo)

Omaggio ad un eroe
Voi rifiutate le violenze ed il loro mercato, i mimetismi ed i facili baratti, i giudizi costruiti sull'opportunismo. Voi respingete da persone leali, il falso e l'insinuazione, eretta a sistema. Voi rifiutate tutto ciò che di folle e di ottuso può nuocere al bene di ciascuno e di tutti. Con queste verità che costituiscono il vostro patrimonio, più nobile e più sacro. Voi sapete combattere a testa alta e non consntite che alcuno alluda a massacri e suicidi, perchè non si concedono giudizi a chi vi aggredisce alle spalle con l'arma della viltà, a che si esalta nel sangue dell'infermo, a chi si accanisce nella dissacrazionedei valori dello spirito, dell'uomo e dello stato. ...
All'umiltà del carabiniere più sperduto, più lontano, più esposto noi sentiamo che intorno c'è una società ricca di vita e di calore umano. Ebbene ricordatevi , Carabinieri, che la moltitudine vi ama, vi vuole, vi sente ...
Tanti e tanti vi idealizzano ... perchè sopravviva la fede, perchè sopravvivano le istituzioni ... che cos'è il dovere ? ... l'amore verso l'inerme, il sacrificio che non paga ... ma su tutto e su tutti è la fiamma della nostra fede, è il nostro grido ... su tutto e su tutti è la volontà fermissima di essere di esempio a questi giovani studenti, che sono venuti dagli Istituti Superiori di Milano ... dar loro la certezza di una vita retta costruita sulla rinuncia ... e la gioia di donare senza chiedere ... ... In rete i film : Cento giorni a Palermo

Film : Il Generale Dalla Chiesa

NATO: VIA LIBERA A UN NUOVO MODELLO DI PIANIFICAZIONE PER IL SUD
Il Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha preso parte alla ministeriale NATO di Bruxelles che ha dato il via libera a un nuovo modello di pianificazione per il Sud (ovvero di studio delle nuove minacce, mutevoli, che ci riguardano direttamente)
"Via libera dal vertice NATO ad un nuovo modello di pianificazione per il Sud.
Per la prima volta, dopo decenni, l'Alleanza oltre a guardare ad est inizierà dunque a guardare anche al MEDITERRANEO, un'area di forte interesse per l'Italia, dove si intrecciano rischi di diversa natura ed entità, primo fra tutti il flusso incontrollato di migranti".
Così il Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, al termine della ministeriale NATO che si è svolta ieri e oggi a Bruxelles.
I 29 Ministri della Difesa della Nato hanno accolto la richiesta dell'Italia, ufficializzando la pianificazione avanzata per il Sud, cioè l'avvio di un modello di studio delle nuove minacce che arrivano dal Mediterraneo, spostando gli orizzonti dell'Alleanza.
La proposta era stata avanzata dall'Italia a più riprese, in particolare all'ultimo summit di luglio.
"Ci siamo impegnati affinché l'Alleanza allargasse il proprio approccio a 360 gradi"
ha
detto il Ministro, che ha poi aggiunto: "Quello raggiunto è un ottimo
risultato che questo governo è riuscito ad ottenere grazie all'impegno e
alle professionalità della nostra delegazione a Bruxelles,
dell'Ambasciatore Claudio Bisogniero innanzitutto e dei nostri militari,
dei nostri diplomatici e del nostro personale civile impiegato presso
la Nato".
Ieri la titolare del Dicastero ha firmato una dichiarazione di intenti per cooperare nel campo dei droni marittimi.
Un
primo passo che consentirà a Italia, Belgio, Danimarca, Gran Bretagna,
Germania, Grecia, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Turchia
e Stati Uniti di mettere in comune risorse e capacità per creare
sistemi per affrontare sfide comuni che potrebbero sorgere nel settore
marittimo. Una iniziativa che consentirà di sfruttare le economie di
scala per ridurre i costi, consentendo un aumento dei budget per la
difesa.
Tra i temi al centro del vertice di Bruxelles, i progressi
compiuti nell'attuazione delle decisioni adottate al vertice della NATO
dello scorso mese di luglio, compresa una ripartizione degli oneri più
equa. In agenda anche la cooperazione NATO-UE e una riunione della
Commissione NATO-Georgia.
A margine della Ministeriale Nato, il
Ministro Trenta ha incontrato il Segretario della Difesa Usa James
Mattis. Un colloquio cordiale incentrato su obiettivi comuni e Libia. Ha
incontrato inoltre i colleghi Mihai Fifor (Romania), Margarita Robles
Fernandez (Spagna), Mariusz Błaszczak (Polonia), Florence Parly
(Francia).
Al suo arrivo, il Ministro Trenta ha salutato la
delegazione italiana e gli italiani che lavorano alla Nato,
ringraziandoli per il lavoro che svolgono. (da Meinero Max Massimo)

Il sindaco di Pompei (Napoli) Pietro Amitrano ha nominato il Generale di Corpo d'Armata Giovanni Nistri, comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri cittadino onorario.
La cerimonia si è svolta, questa sera, a Palazzo De Fusco nella sala consiliare.
La motivazione dell'atto fa
riferimento ai risultati ottenuti dal Grande Progetto Pompei sotto la
direzione del Generale Nistri che ne ha lasciato la guida con, tra
l'altro, 127 milioni di euro di gare aggiudicate, 69 interventi di messa
in sicurezza conclusi, 37 Domus riaperte al pubblico e molti lavori
avviati che hanno consentito di inaugurare nel 2017, ad esempio, tre
Domus poste lungo via Nocera, che non erano mai state aperte al
pubblico.
Grazie a questo lavoro
Pompei è tornata a fare notizia per i restauri e per la valenza del sito
archeologico, come dimostra anche la costante crescita delle presenze
di visitatori.
La
serata si è conclusa al Teatro Di Costanzo Mattiello dove si è esibita
la Fanfara del 10° Reggimento Carabinieri Campania..... congratulazioni e
complimenti vivissimi.

Michele è tra quelli a cui la Bibbia attribuisce espressamente il titolo di arcangelo, come Gabriele e Raffaele, menzionato nel Libro di Tobia.
Il nome Michele deriva dall'espressione Mi-ka-El che significa "chi è come Dio?".
L'arcangelo Michele è ricordato per aver difeso la fede in Dio contro le orde di Satana.
Michele, comandante delle milizie celesti, dapprima accanto a Lucifero (Satana) nel rappresentare la coppia angelica, si separa poi da Satana e dagli angeli che operano la scissione da Dio, rimanendo invece fedele a Lui, mentre Satana e le sue schiere precipitano negli Inferi.
Nel calendario liturgico cattolico si festeggia
come "San Michele Arcangelo" il 29 settembre, con San Gabriele Arcangelo
e San Raffaele Arcangelo.
Michele arcangelo è comunemente
rappresentato alato in armatura con la spada o lancia con cui sconfigge
il demonio, spesso nelle sembianze di drago. È il comandante
dell'esercito celeste contro gli angeli ribelli del diavolo, che vengono
precipitati a terra.
San Michele è, tra gli altri, anche protettore dei paracadutisti d'Italia, di America e di Francia e della Polizia di Stato.
A U G U R I di BUON ONOMASTICO a TUTTI i MICHELE e ai PARACADUTISTI

Cambio Comando Supporti Tattico Brigata Folgore (da FB Meinero Max Massimo)
ex Allievi in evidenza: LIVORNO. CAMBIO AL VERTICE DEL COMANDO E SUPPORTI TATTICI DELLA BRIGATA PARACADUTISTI "FOLGORE": IL TENENTE COLONNELLO MORETTI CEDE AL PARIGRADO GUIDOTTI.
Questa mattina, si è svolta presso la caserma "M.O. F. Rugiadi" di Livorno, la
cerimonia del passaggio di consegne del Reparto Comando e Supporti Tattici
"FOLGORE, tra il comandante uscente, Tenente Colonnello Luca Moretti ed il
comandante subentrante, Tenente Colonnello Salvatore Marco Guidotti.
Il cambio al Comando, è stato presieduto dal
Comandante di Brigata, Generale Rodolfo Sganga, al cospetto di
numerose autorità civili e militari unitamente alle associazioni
combattentistiche d'arma locali, che con la loro presenza hanno testimoniato la
sentita vicinanza e il profondo affetto provato verso l'Esercito Italiano.
Nel suo discorso di commiato, il Tenente Colonnello
Luca Moretti ha voluto sottolineare la professionalità, l'impegno e l'assoluta
dedizione "...senza temer tempesta" come cita il motto del Reparto, degli uomini
e delle donne alle sue dipendenze che hanno reso possibile il raggiungimento
degli obiettivi prefissati.
Nell'ultimo anno, il Reparto Comando e Supporti
Tattici "Folgore", unità in grado di assicurare il funzionamento del Comando
della Grande Unità sia in termini logistici che di comunicazione, è stato
impiegato in intense attività di supporto alla Brigata, sia in ambito Nazionale
che Internazionale, con LEONTE in Libano ed EUTM (European Union Training
Mission) a Gibuti ed in Somalia, volta all'addestramento e alla qualificazione
delle forze militari e di sicurezza di determinati Paesi, inoltre ha
contribuito con assetti di personale in vari settori specialistici in diverse
esercitazioni internazionali quali SWIFT RESPONSE, SABER STRIKE e SABER
JUNCTION al fine di incrementare l'interoperabilità e compatibilità di sistemi,
mezzi, armamenti e procedure comuni in ambito NATO.
A conclusione della cerimonia, il Generale Sganga,
dopo aver rivolto un saluto alle autorità e agli ospiti presenti, ha espresso
nei confronti del Comandante uscente parole di grande stima, elogiandone
l'impegno quotidiano, l'estrema dedizione e l'onestà intellettuale ed esortato
il personale del Reparto a mettere a disposizione del Comandante subentrante la
stessa lealtà, abnegazione e intelligente partecipazione.... a entrambi il
nostro fraterno in bocca al lupo ...

CONFERENZA SULLA DIFESA CIBERNETICA
ex
Allievi in evidenza: ROMA - CECCHIGNOLA - SCUOLA DELLE TRASMISSIONI E
INFORMATICA
CONFERENZA SULLA DIFESA CIBERNETICA
La Difesa Cibernetica, tema di
grande attualità, è stato l'argomento della conferenza, moderata dal Generale
di Brigata Umberto Castelli, che si è tenuta oggi presso l'Aula Magna della
Scuola delle Trasmissioni e Informatica nella Città Militare della Cecchignola
a Roma.
Presenti relatori, sia militari che civili, altamente specializzati nel settore
per un incontro il cui significato è stato chiaramente espresso nell'intervento
del Comandante Logistico dell'Esercito Generale di Corpo d'Armata Luigi
Francesco De Leverano: "L'evoluzione delle tecnologie dell'informazione ha
permesso allo strumento militare di dotarsi di sistemi informativi di comando e
controllo automatizzati, che permettono la memorizzazione e lo scambio di
enormi quantità di dati/informazioni in "tempo reale", al fine di velocizzare i
processi decisionali ai vari livelli di Comando.
"L'utilizzo di tali strumenti tecnologici - ha continuato il Generale De
Leverano - tuttavia, ha reso le Forze Armate particolarmente vulnerabili ai
rischi afferenti alla sicurezza dei sistemi e delle informazioni ivi contenute
provenienti da minacce interne ed esterne all'organizzazione militare.
Pertanto, risulta necessario assicurare la Sicurezza Cibernetica (Cyber
Security) garantendo che lo spazio cibernetico risulti protetto grazie a idonee
misure di sicurezza fisica, logica e procedurale rispetto a eventi di natura
volontaria o accidentale, consistenti nell'acquisizione, trasferimento,
modifica o distruzione illegittima di dati ovvero nel blocco dei sistemi
informativi. Ciò, nell'ambito della Difesa, può avvenire attraverso la
combinazione di misure, predisposizioni ed azioni correlate all'Information
Assurance al Computer Network Operation (CNO) e alla Cyber Defence. Proprio
quest'ultima materia, intesa come l'insieme della dottrina, dell'organizzazione
e delle attività atte a prevenire, rilevare, limitare e contrastare gli effetti
degli attacchi condotti tramite lo spazio cibernetico, necessita di essere
divulgata sino ai minimi livelli".
Tra i relatori il Professore Luigi Vincenzo Mancini del Dipartimento
informatica dell'università la Sapienza di Roma che ha parlato di crescita e
tendenze dei recenti cyber - malware; la Dottoressa Nunzia Ciardi, Direttore
del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, che ha esplicitato il ruolo
della Polizia Postale e delle Comunicazioni nel contrasto dei crimini
informatici; il Generale di Brigata Luigi Carpineto, Comandante del Comando
Trasmissioni che ha presentato la struttura e compiti del Reparto Sicurezza
Cibernetica (RSC); il Brigadiere Generale Francesco Vestito, Comandante del
comando Interforze per le operazioni Cibernetiche (CIOC) ha parlato di genesi,
compiti e progetti futuri del suo Comando; il Capitano Salvatore Salvaggio, VI
Reparto Sistemi C4I Ufficio pianificazione risorse C4I dello SME che ha toccato
il tema della difesa cibernetica dei sistemi informatici e di telecomunicazione
non classificati dell'Esercito. Il Maggiore Luca Iuliano, sezione Ciber CERT EI
/Comando C4 EI dello SME, ha parlato di Computer Emergency Response Team
(CERT-EI) quale gestione e risposta agli attacchi-incidenti informatici ai
sistemi e alle reti non classificate della Forza Armata.
L'Esercito ha da tempo predisposto una serie di studi e misure per tutelare le
proprie strutture e il proprio personale dalle minacce di natura cibernetica,
rispondendo alle nuove sfide della Cyber Defence con la creazione del Nucleo
Iniziale di Formazione del Reparto Sicurezza Cibernetica, una cellula composta
da personale altamente specializzato ed inquadrato nel Comando Trasmissioni
dell'Esercito, presso il comprensorio militare Cecchignola a Roma, che opererà
in sinergia e a supporto del Comando Interforze Operazioni Cibernetiche
(CIOC)..... ben fatto.

La Difesa per la collettività: prosegue l'impegno delle Forze Armate in Toscana, nell'emergenza incendio divampato sul Monte Serra
Nell'ambito della Campagna Antincendio Boschivo (AIB), le Forze Armate, in totale sinergia con le Istituzioni locali, sono impegnate da questa mattina per l'emergenza incendio divampato la scorsa sera sul Monte Serra in provincia di Pisa.
Un elicottero CH-47 dell'Aviazione dell'Esercito è decollato da qualche ora dall'aeroporto Fabbri di Viterbo per raggiungere il comune di Calci, a est di Pisa, in supporto
agli assetti
forniti dalla Protezione Civile e dai Vigili del Fuoco, per le
operazioni di spegnimento dell'incendio che sta devastando circa 600
ettari di bosco e minacciando anche le abitazioni circostanti.
Le operazioni sono tutt'ora in corso.
Da subito l'Aeronautica Militare, per il tramite della 46ª Brigata
Aerea di Pisa, sta fornendo il supporto tecnico, logistico ed operativo
ai velivoli impegnati nelle attività di spegnimento e potrà fornire su
richiesta dei comuni interessati ospitalità a circa 60 sfollati.
L'aeroporto di Pisa, inoltre, è stato completamente riservato ai
velivoli impegnati nelle attività antincendio, consentendo di impiegare
ogni risorsa per fronteggiare l'emergenza.
L'impegno delle Forze
Armate rientra nell'accordo stipulato tra Ministero della Difesa e
Dipartimento della Protezione Civile nell'ambito della campagna AIB, che
prevede la costituzione del Centro Operativo Aereo Unificato (COAU),
come ente coordinatore degli interventi in caso di emergenza.
L'antincendio rientra tra le capacità duali che la Difesa mette
quotidianamente a disposizione per la collettività nazionale nei casi di
pubbliche calamità, dove capacità nate per scopi prettamente militari,
sono impiegabili proficuamente anche per esigenze civili.
..... ben fatto

In ricordo di Gianni Campagna Capo Corso
FRATELLI
IN UN (160°) CORSO FRATELLI PER SEMPRE
un ricordo del nostro indimenticabile Capo Corso Gianni
Campagna da parte dell'ex Allievo Vincenzo Bellone....
"Ricordo bene il mio amico Gianni ai tempi
dell'Accademia Militare. Giovane educato, buono, distinto, altruista. Fatto per
l'uniforme, fatto per essere Ufficiale quale è stato.
Ricordo che all'epoca avevo amicizia epistolare con una ragazza olandese e Lui aveva la pazienza di tradurmi le lettere in arrivo e scrivermi quelle in partenza. Una "chicca": era anche un ottimo ballerino. Era il periodo di "Grease" di John Travolta (1978/79) e nei pochi momenti di libertà - io mettevo giù la cassetta - univamo i tavolini in camerata - foulard al collo e t-shirt arrotolata ai bicipiti - e via, lo imitava in maniera splendida - peccato che all'epoca non esistevano le videocamere, perchè era fantastico. Ciao Gianni, non Ti dimenticherò mai - il Tuo amico per sempre - Enzo Bellone". (da FB Meinero Max Massimo)

Breccia di Porta Pia
(da Meinero Max Massimo)
20
settembre 2018 giovedì
BRECCIA DI PORTA PIA
ROMA È LA CAPITALE D'ITALIA
263º giorno dall'inizio dell'anno ne restano 102 al
termine....
BUONA GIORNATA a TUTTI da Modena
... cielo sereno ....
.... AIC alla Montecuccoli" durante il
tirocinio del 200° Corso "Dovere" ....
... come di consueto giunga a ognuno di voi il mio
AUGURIO per una BUONA, SERENA e PROFICUA GIORNATA ...

ex Allievi in evidenza: PISTOIA. IL COLONNELLO GIANNI FEDELI È IL NUOVO COMANDANTE PROVINCIALE DEI CARABINIERI DI PISTOIA (da FB Meinero Max Massimo)
Il Colonnello Gianni Fedeli, che dal 10 settembre ha assunto l'incarico
di comandante provinciale dei carabinieri di Pistoia, si è presentato
ieri alla stampa.
Cinquantadue anni, originario di Piombino,
proviene dalla Scuola ufficiali di Roma, ove ha ricoperto il duplice
incarico di insegnante e comandante dei corsi di formazione di base del
prestigioso istituto di formazione
dell'Arma. Ha comandato la compagnia di Jerzu nel nuorese, la compagnia
di Pisa e successivamente il reparto operativo della stesso capoluogo di
provincia toscano.
«LA PROVINCIA di Pistoia è una realtà che sto
imparando a conoscere - ha spiegato ieri il comandante ai giornalisti -
qui si respira ancora l'aria del borgo, un aspetto a cui essendo
toscano, sono naturalmente legato, e questa è una realtà florida da
tanti punti di vista. Sul piano della sicurezza, è ancora prematuro
puntare l'accento sulle criticità.
Di sicuro, proseguiremo nella
collaborazione con la magistratura e con le altre forze dell'ordine e
nell'ascolto attento dei cittadini, un aspetto fondamentale del nostro
lavoro.
Noi esistiamo in funzione di un servizio: quello che rendiamo appunto quotidianamente ai cittadini».
Quanto agli organici, il comandante ha spiegato che, «le forze in
dotazione sono commisurate alle esigenze del territorio, sia nel
versante di Pistoia che nell'area della Valdinievole».
Riguardo alle
strutture, l'unica criticità resta quella della stazione di Abetone,
«ma il nostro servizio è assicurato a prescindere».
Fra i reparti di
istruzione, oltre all'incarico presso la Scuola ufficiali di Roma, il
Colonnello Gianni Fedeli ha comandato una compagnia di Allievi
marescialli presso la Scuola marescialli di Velletri e una compagnia di
Allievi ufficiali dell'Arma, nell'Accademia Militare di Modena. Al suo
attivo anche varie missioni all'estero: Bosnia Erzegovina, Kosovo e
Libano.
Ha inoltre partecipato ai tavoli interforze fra polizie europee a Malta, in Spagna e in Belgio.
.... a lui il nostro fraterno in bocca al lupo.

Gen. B. Bruno Pisciotta
Ex
Allievi in evidenza: MESSINA. IL GENERALE DI BRIGATA BRUNO PISCIOTTA SARÀ IL
NUOVO COMANDANTE DELLA BRIGATA MECCANIZZATA "AOSTA" (da FB Meinero Max Massimo)
Il Generale di Brigata Bruno Pisciotta, 49 anni, nativo
di Udine, sarà il nuovo Comandante della Brigata meccanizzata "Aosta"
a Messina.
L'Ufficiale Generale ha frequentato i corsi regolari
dell'Accademia Militare di Modena #170CorsoAudacia
e si e' formato da giovane alla Scuola Militare della Nunziatella di Napoli
.... a lui il nostro fraterno in bocca al lupo