COSÌ CAMBIERÒ LE MISSIONI MILITARI

INTERVISTA AL MINISTRO DELLA DIFESA ELISABETTA TRENTA:
La titolare della Difesa respinge l'ipotesi di salvini di spostare l'ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme: «Evitiamo interventi che possano rompere equilibri già precari»
(articolo di Fiorenza Sarzanini) Da FB di Meinero Max Massimo.
«Cambieremo tutte le missioni, ma rispetteremo gli impegni a livello internazionale».
Il giorno dopo la polemica scatenata dall'uscita del vicepremier Matteo Salvini contro Hezbollah, la ministra della Difesa Elisabetta Trenta ribadisce la necessità di evitare provocazioni. Salvini però ripete che sono «terroristi islamici».
Ministra Trenta il suo appello all'unità del governo è caduto nel vuoto?
«Ma no, il governo è compatto, io ho solo detto che è indispensabile calibrare le parole, soprattutto quando si opera in contesti internazionali dove sono impegnati i nostri uomini. È una questione di sicurezza per i militari. Ne stiamo impiegando 13.700».
Però all'estero sono meno della metà.
«Ce ne sono 7.200 impiegati in Italia nell'operazione Strade sicure che garantisce la sicurezza interna dei cittadini e altri 6.500 in teatri impegnativi come ad esempio quello iracheno, afghano e appunto libanese, proprio a Sud».
Ieri Salvini non ha escluso la possibilità di spostare l'ambasciata italiana da Tel Aviv a Gerusalemme.
«Io credo che debbano esserci due popoli e due Stati, lo ha ben chiarito il presidente della Camera Roberto Fico. In ogni caso eviterei ogni intervento che possa rompere equilibri già precari».
Avevate promesso il ritorno di almeno 100 soldati dall'Afghanistan. Avete cambiato idea?
«È già previsto nel decreto missioni, ma con il nuovo provvedimento ne ritireremo altri 100 e chiuderemo "Presidium" a Mosul, dove il Califfato è stato sconfitto e non esiste più il pericolo per la diga».
Questo non creerà problemi con gli alleati?
«Onoreremo gli impegni, in Iraq resteremo al fianco della Nato nella missione di training ma sono cambiate le condizioni e dunque le nostre prospettive».
E i soldati fermi in Niger?
«Dopo 8 mesi siamo riusciti a sbloccare la missione. I militari sono già operativi nel controllo delle aree a supporto del governo nigerino per la formazione finalizzata al controllo dei flussi migratori verso l'Italia. Insomma, seguiamo l'interesse nazionale».
L'attacco a Strasburgo ha dimostrato che l'allarme terrorismo è ancora altissimo.
L'Italia ha un dispositivo adeguato?
«Purtroppo lo ripeto da tempo, ormai le dimensioni della minaccia sono cambiate, parliamo di una minaccia mutevole, ibrida, alla quale dobbiamo far fronte rivedendo alcuni assetti. Io credo sia indispensabile rimodulare il concetto di difesa nazionale e sto portando avanti un progetto di intesa interministeriale».
Che vuol dire?
«Non possiamo continuare a ragionare individualmente, ma procedere in modo interconnesso tra Difesa, Viminale, Mit e altri ministeri, con la guida di Palazzo Chigi. Dobbiamo far fronte alle nuove forme di attacchi, come quelli cibernetici.
È il momento che anche l'Italia si doti di una National security strategy sul modello Usa, ovvero un documento di strategia di sicurezza nazionale. C'è un gruppo di lavoro interministeriale che già si sta confrontando sul tema».
State pensando a nuove misure?
«Il dispositivo Strade Sicure viene coordinato nell'ambito del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ma credo che debba essere rafforzata la formazione, specializzandoli anche in attività specifiche e diversificate».
Entro un mese bisognerà approvare il decreto missioni. Teme difficoltà?
«Il Parlamento ha l'ultima parola e francamente non credo ci saranno problemi.
I cittadini sanno che noi lavoriamo per la loro sicurezza.
I nostri militari sono dei servitori dello Stato, operano per il Paese, seguono l'indirizzo politico ma non si fanno condizionare da un titolo di un giornale.
Per questo mi auguro che i partiti e le forze parlamentari ispirino la propria posizione al senso di responsabilità verso l'Italia».
Il governo ha nominato il nuovo ambasciatore in Libia.
«L'impegno del nostro Paese per l'avvio del processo di pacificazione che sia innanzitutto intralibico è massimo.
La stabilizzazione della Libia, dando voce a tutti gli attori rappresentativi sul territorio, è prioritaria.
Una Libia sicura significa un'Italia sicura e un'Europa più sicura».